2 ottobre 2010

Italia, ma mi vuoi bene? (Post triste)

In Italia lavoro come coordinatore in una piccola associazione di volontariato che si occupa del mantenimento e valorizzazione del verde di due parchi di Verona. E' un lavoro molto interessante per un laureato in scienze forestali perché bisogna saper fare di tutto: contabilità, reclutamento di volontari locali ed esteri (quindi bisogna saper le lingue straniere e, non facile, il giusto approccio per collaborare persone di cultura, etnia e estrazione sociale diverse), organizzazione del lavoro, gestione amministrativa di progetti finanziati con fondi privati e pubblici (quindi sapere rendicontare un progetto, redarre relazioni tecniche ecc.) ma bisogna anche sapere usare macchine agricole, motoseghe, decespugliatori. Spesso si smanetta nei motori.

Insomma in una mia tipica giornata lavorativa parlo dialetto e spagnolo, italiano e inglese. Devo pensare all'acquisto di attrezzatura e materiale ma anche che non manchi nulla per la bracciolata dei volontari senior.
Si torna a casa stanchi ma solo a descriverlo è un lavoro affascinante, non è vero? Si possono fare tante cose utili. Non immaginate come si cresce dal punto di vista umano stando in contatto con tante persone diverse.

Eppure se dite che siete un coordinatore di un'associazione di volontariato la gente alza le spalle e dice? E sarebbe? Già e che sarebbe?

E' una professione poco riconosciuta perché la maggioranza delle associazioni di volontariato in Italia sono condotte in maniera hobbistica; nobili attività per il dopo lavoro. La figura del professionista, cioè l'incaricato di coordinare i volontari, seguire i progetti e curare gli aspetti amministrativi ancora non esiste ufficialmente.
Morale? Stipendi bassi e poco riconoscimento professionale (Molto del lavoro quasi non viene neppure notato e mi ci serve un certo impegno a far notare che il successo di certe iniziative non è frutto della casualità).

I parenti mi chiamano “il manovale laureato”. E a volte, nelle giornate no, lo penso anch'io.

Un giorno per esempio mi trovavo in un palazzo della Regione Veneto a Mestre e stavo attendevo il mio turno per discutere di una pratica. Mentre aspettavo in corridoio, un operaio riempiva il distributore automatico di bibite e chiacchierava con un usciere. Parlavano di crisi economica, di fannulloni, i soliti discorsi da ufficio pubblico. Ad un certo punto l'operaio rivelò all'usciere l'ammontare del suo stipendio. Ci rimasi di sasso. Per riempire distributori di bibite prendeva mensilmente cento euro più di me. Chiaro non ce l'ho con lui, non è lui ad essere sottopagato.

Potrei prendermela con la mia associazione e pretendere condizioni salariali migliori però conosco il bilancio e so che obiettivamente non possono fare di più. Un errore nel nostro sistema economico però c'è. Deve esserci, sennò questa ed altre situazioni, tipo quella che vado a raccontare non potrebbero esistere.

Qualche anno fa ero stato invitato al matrimonio di una mia compagna dell'università. Ricordo che ero un po' sorpreso nel rendermi conto di essere suo coetaneo quindi anch'io in età da matrimonio anche se nell'ambiente lavorativo e famigliare ero (sono) trattato rispettivamente da apprendista e da adolescente. Immaginate la mia sorpresa nel vedere che alcuni miei compagni di corso avevano addirittura procreato e autentici bambini piccoli giacevano addormentati nelle carrozzine. L'argomento principe con i compagni, visto che l'amore e la salute andavano bene era il lavoro. Cosa cioè la vita ci avesse offerto fin'ora in cambio di cinque anni di studio, tirocinio, tesi, esame di stato e iscrizione all'ordine. 

Alcuni facevano il dottorato di ricerca (affrontando importanti ricerche specialistiche) a ottocento euro al mese. Altri erano insegnanti precari, se avevano lunghe supplenze, per esempio per maternità, guadagnavano anche discretamente però l'anno seguente sarebbe stato un'incognita.

Insomma o le professoresse fanno all'amore oppure i neolaureati tirano la cinghia. Altri lavoravano in cantina sociale, altri facevano i giardinieri e altri collaboravano presso studi tecnici. Lavorare in uno studio tecnico è la migliore strada per farsi una professionalità.

La differenza fra le nozioni apprese all'università e le conoscenze utili per lavorare è la stessa che passa tra il recitare l'alfabeto e comporre articoli di giornale.

Mi aveva colpito il racconto di una ragazza, una giovane laureata come me in Scienze Forestali.

Insomma, spiegava, vi presentate presso un libero professionista che in vostra presenza si atteggia come uno chef francese al cospetto dell'ultimo lavapiatti extracomunitario. Più o meno ti spiega di cosa si occupa e poi ti chiede se ti interessa.
Non si parla di remunerazione. Se timidamente chiedete qualcosa a riguardo il tizio o meglio il dottore ti risponde: “Ehi, prima vediamo se sei all'altezza poi vedremo”. Prima di capire se siete all'altezza devono passare mesi, meglio se ogni tanto fai presente la tua situazione, magari con una battuta per non essere troppo diretti.

Alla fine sì, il grande maestro ti fa presente che nonostante tutto non sei malissimo (se effettivamente hai stoffa), che puoi aprire partita IVA e lui dividerà i compensi delle pratiche portate a termine con te. Ti offro un lavoro flessibile, ti dice salendo sulla sua BMW nuova, non esistono altre soluzioni contrattuali sennò devo chiudere bottega.

Teoricamente, secondo questo concetto di flessibilità, l'illustre professionista ti propone alcuni progetti accordandosi su obiettivi, metodi, scadenze e compenso. Beh, penserete che così, da libero professionista, potete scorrazzare per il territorio come un free lance, collaborare con chicchessia incluso portare avanti progetti vostri. Largo ai giovani! Venga competitività!

Non proprio. Anche se non sta scritto in nessun contratto avrete un orario di lavoro di otto ore, nel quale oltre ai progetti sbrigherete anche un po' di faccende di segreteria (telefono, fax, archivio fatture ecc.), se vi passa per le mani un cliente lo condurrete in studio, diversamente è alto tradimento. La vostra vita è disciplinata da un regolamento interno come in qualsiasi ufficio.

Insomma siete a tutti gli effetti dei dipendenti. L'unica cosa che vi manca, particolare non trascurabile, sono i diritti dei dipendenti: ferie, malattia, gravidanza, aspettativa., tredicesima. Niente di tutto questo e se un giorno per caso litigate col capo, egli, il dottore, l'esimio maestro, ti può legalmente cacciare via su due piedi. Ti fa letteralmente scomparire con la bacchetta magica.

Spero vivamente che questo caso sia un'eccezione, anche se non ne sono certo.

Qualche giorno fa scorrendo alcuni annunci di lavoro ne ho incontrato uno incredibile. Un vivaio cercava un operaio generico con laurea in scienze forestali. Uno si laurea per fare l'operaio generico? Il gioco era chiaro, ovviamente si offriva un incarico di una certa professionalità pagato però una miseria.

A conclusione di questo malinconico quadretto, considerando invece il profondo rispetto dimostratomi dai norvegesi per i quali io sono uno straniero, penso: perché deve essere proprio la mia patria a prendermi a scarpate?

1 commento:

  1. Che post tristissimo... anch'io sono un "giovane" (ho 35 anni !!) e anch'io vedo le cose che vedi tu. A me sembra chiaro che il sistema non può durare a lungo: o le leggi e l'amministrazione sono così perché sanno che a breve salta tutto, o salta tutto perché con queste leggi e con questa amministrazione il sistema non può reggere. Quindi, indipendentemente dal problema se sia nato prima l'uovo o la gallina, rimane un concetto di fondo: siamo nella merda fino al collo. Non so te, ma io non ho molta voglia di fare la fame e pagare le tasse a questi delinquenti. Non ho idea di come regolarmi di preciso; se io fossi un tecnico forestale forse emigrerei in Norvegia :-)
    Ciao
    Mike

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