3 ottobre 2010

Congedo


Ebbene mi rendo conto che sto scrivendo l'ultimo post di questo blog. 

Domani a quest'ora sarò a bordo di un aeroplano che mi riporterà a casa in Italia. Non provo particolari emozioni se non gratitudine e la sensazione di aver vissuto un'esperienza importante.

Nell'esperienza c'è naturalmente questo blog a cui ho lavorato molto e il contatto con voi affezionatissimi lettori. Dai dati di google analytics siete circa in 300 a seguirmi. 

Sapere che i resoconti di ciò che combinavo quassù in cima al mondo vi incuriosivano mi ha dato la giusta motivazione per continuare a scrivere cercando di farlo bene.

Alcuni dei lettori sono miei amici, della maggioranza degli altri so poco. Conosco la città dalla quale si collegavano e alcuni dei loro oggetti delle loro ricerche.

Google mi ha avvertito che le persone sono giunte alle mie pagine cercando “Norvegia”, “Lavoro manuale Norvegia”, “Come ripristinare una pista forestale” ma anche, pensate, digitando “Donne che si fanno toccare dappertutto” “Le ragazze finlandesi, sesso”. Insomma ho raccolto a me amici, curiosi, forestali e onanisti. Una simpatica cricca non c'è che dire.

Credete, è stato bello.

Adesso è giunto il tempo di prendere congedo e devo farlo secondo le vostre aspettative,con una riflessione profonda, universale. Qualcosa che dimostri quanto questo viaggio mi abbia reso saggio. Di certo non posso dire ciao a tutti è stato bello, sono molto felice.

Tra tutto quello che posso raccontarvi scelgo di concludere con una frase in inglese.

Come vi ho detto, per tenermi compagnia in bosco, ascoltavo podcast scaricati da internet. Uno di essi era un corso di inglese finalizzato ad ampliare il proprio vocabolario, cosa che io necessito disperatamente.

L'insegnante era un inglese molto simpatico che aiutava a ricordare, verbi, espressioni e parole focalizzandole in storie, la maggioranza di esse molto interessanti.

Ebbene il podcast dedicato al phrasal verb “carry on” che significa “continuare” era accompagnato da un episodio della storia dell'inglese.

Durante la seconda guerra mondiale, raccontava l'insegnante, c'è stato un periodo nel quale gli inglesi se la sono vista proprio brutta. Mi riferisco ai bombardamenti su Londra.

Il governo pubblicava in quegli anni volantini di propaganda finalizzati a coordinare e a rassicurare la popolazione civile. Gli inglesi hanno combattuto come leoni per proteggere la propria patria. Il governo però aveva considerato anche lo scenario peggiore ovvero l'invasione delle truppe tedesche e quindi la capitolazione.

Per quella drammatica eventualità era stato preparato un manifesto che sarebbe affisso per le strade di Londra a beneficio di una popolazione terrorizzata e sconfitta. Un manifesto da affiggere quando tutto sarebbe stato perduto. Voi cosa scrivereste al vostro popolo conquistato da un esercito straniero? Difficile trovare una frase adatta per un contesto così drammatico. Ebbene il governo inglese ne trovò una di incredibile efficacia che solo al leggerla emoziona e fa riflettere su tanti aspetti dell'esistenza.

In caso di invasione sui muri di Londra sarebbero stati affissi manifesti con questa scritta:
“Keep calm and carry on”, che tradotto in italiano significa: “Mantieni la calma e vai avanti”.

Non so spiegarvi perché voglio salutarvi con questo, forse per i tempi nei quali viviamo, o forse chissà.

Gli inglesi scrissero “Keep calm and carry on”.

Vinsero la guerra.

Tanti saluti dalla cima del mondo.

Un lavoretto pulito


Affezionatissimi, oggi mi sento gioviale perché è giorno di paga. 

Ebbene in questa trasferta, nonostante la qualifica di semplice operaio, le mie entrate sono aumentate mensilmente dell'85% rispetto a ciò che percepivo in Italia. Non è poco, al netto delle spese in quattro mesi ho messo da parte l'equivalente di un anno di risparmi. Va detto che ho avuto il culo immenso del vitto e alloggio gratis, altrimenti mi sarebbe andata comunque bene ma non l'avrei fatta così grassa.

Ciò che ho percepito come operatore forestale è più o meno la paga di un addetto alle pulizie, 32% inferiore rispetto al reddito medio norvegese.

Se decidi di stabilirti in Norvegia contando su questo reddito non puoi permetterti lussi (per lusso intendo una birra che al pub costa dai 7 ai 10 euro) ma arrivi tranquillamente alla fine del mese.

Se poi professionalmente vali di più, non appena avrai imparato il norvegese potrai ambire a qualcosa di meglio. Lavoro per gente di buona volontà pare ci sia.

Chi fa veramente il botto sono gli ingegneri e i tecnici altamente qualificati. Ho letto alcune delle loro storie su internet. Non fanno la gavetta pulendo pavimenti, sono contrattati direttamente da grandi imprese multinazionali, specie quelle petrolifere, dove all'inizio, ci si può esprimere anche in inglese. (In un buon inglese, eh!) Gli stipendi in quei contesti sono molto alti.

Le storie di questi professionisti infatti traboccano di ottimismo, però ripeto, sono storie che ho letto nei blog di internet.

Anziché informazioni fumose di seconda mano provo qui a darvi più dettagli riguardo al mio lavoro forestale.

In Norvegia la maggioranza dei boschi appartiene ai privati. Le tecniche di coltivazione, gli abbattimenti, gli interventi strutturali come la realizzazione di strade forestali sono disciplinati da una normativa nazionale, come in Italia. L'ente pubblico incaricato di coordinare, di controllare, di autorizzare gli interventi boschivi è il comune. Ogni comune ha quindi il suo ufficio tecnico forestale.

Il governo mette a disposizione contributi economici per tutti quegli interventi boschivi detti colturali: sfolli, diradamenti e piantumazioni. Interventi necessari per ottimizzare la produttività del bosco ovvero volti a migliorare la qualità degli alberi e l'incremento legnoso degli stessi ma dai quali non si guadagna nulla.

Il governo rimborsa ai proprietari l'80% del costo di tali interventi. Non male, vero?

Inoltre i proprietari possono commissionare ai comuni il lavoro i quali a loro volta contrattano gli operai. Così per il proprietario forestale, lo spinoso problema del bosco si risolve riempiendo un modulo.

Ciò gli permette di svolgere altri lavori o di dilettarsi negli svaghi estivi come la pesca, le passeggiate, la raccolta dei mirtilli ecc.

Per l'operaio la retribuzione è a cottimo; un tot, negoziabile, per unità di superficie lavorata.

Se fosse una retribuzione oraria, il comune spenderebbe di più a controllare che gli operai non battano fiacca che a realizzare l'intervento.

Il lavoro a cottimo è vantaggioso anche per l'operaio il quale è libero di scegliersi il proprio orario di lavoro e i giorni di riposo. Quando l'area è completata chiama l'ispettore o il proprietario che verifica il lavoro svolto e assegna un altro incarico.

Per i diradamenti e gli sfolli mi ero imposto un orario di trentotto ore effettive settimanali. Sette o otto ore di decespugliatore forestale al giorno, credete, sono abbastanza, sforzarsi oltre si rischia di affaticarsi troppo e quindi è più facile che si verifichino incidenti. Con le lame non si scherza!

Lavoravo più ore quando c'era da piantare alberi; la fatica era minore quindi potevo darci dentro, senza rischi.
Dovevo dosare le forze per durare quattro mesi. Se avete visto qualche mia foto pubblicata nel blog avrete capito che non sono proprio un montanaro rustico alla Mauro Corona che fa colazione con polenta e salsiccia ed è capace di picconare per quindici ore filate in una cava di marmo.

Tra le difficoltà, per chi accarezza l'idea di dilettarsi nei boschi norvegesi, cito la pioggia, gli insetti, il peso e il rumore del motore degli attrezzi e l'isolamento.

Per il resto invece bene, l'ispettore e i proprietari forestali sono stati molto gentili e chiari nello spiegarmi ciò che avrei dovuto fare e, in caso di problemi, (per esempio per individuare i confini della proprietà) ricevevo immediati chiarimenti. 

Anche l'equipaggiamento e gli attrezzi che mi hanno messo a disposizione erano di ottima qualità. Pensate, usavo carburante ecologico ASPEN, che rilascia un quantitativo di emissioni tossiche di molto inferiore rispetto alla miscela tradizionale. In Italia il carburante ASPEN costa 3 euro al litro. 

Mi hanno insegnato a limare la lama del decespugliatore e la corretta tecnica di utilizzo per operare in sicurezza.

Per quanto riguarda la remunerazione come dato certo riporto:

Diradamento e sfollo con decespugliatore forestale: 250 €/ha (un ettaro = 10.000 mq, un quadratone di 100 metri x 100 metri)

Piantumazione di abeti 0,20 €/ cad: (Chiaramente si tratta di mettere a dimora migliaia di piante, per dare un'idea la mia produttività era di 60 piante/ora)

Operaio generico per segheria da campo: 11,25 €/h

A ciò dovete togliere le tasse. Appena avrò dati certi vi dirò a quanto ammontano.

E quindi, domanda delle domande conviene abbandonare l'Italia per ricominciarw in Norvegia? Dirvi semplicemente sì o no è fuori questione.

In libreria, visitando il reparto manualistica, avrete senz'altro notato quei libri dal titolo risolutivo: “Come diventare ricco sfondato”. Se sai come diventare ricco sfondato diventi ricco e sfondato; di certo non ti metti a scrivere un libro sul come diventarlo.Per questo genere di cose non ci sono regole fisse.

Uguale qui. Non esiste il manuale “Come realizzarsi in Norvegia”.

Ognuno di noi ha la sua storia personale, i suoi sogni e le sue aspettative e le capacità o meno di realizzarsi.

In Italia, come sappiamo, ci sono bravi giovani che non trovano l'opportunità per esprimersi professionalmente e ciò a causa di un ambiente che non li valorizza e sognano un'alternativa.
Ci sono anche giovani che non si realizzano a prescindere dalle condizioni politico sociali; sto parlando dei pigri, di quelli che non investono in sé stessi, che non si mettono in gioco, che non si criticano, che non si danno obiettivi che non sanno sacrificarsi.

Loro sappiano che un cambio di indirizzo non è in sé risolutivo.

Tutti gli altri, se lo credono possono tentare.

Per gli studenti c'è l'opportunità dell'Erasmus dal quale si possono cogliere preziose informazioni sulle reali possibilità professionali e soprattutto potranno studiare il norvegese.

Per gli altri il gioco si fa un po' più azzardato e costoso. Si tratta di investire qualche migliaia di euro per un periodo definito di permanenza nel quale proporsi alle offerte pubblicate negli uffici di collocamento.

L'esito dell'avventura dipende dai soliti fattori: capacità, carattere, spirito di adattamento e culo.

Insomma, come sempre, ognuno è protagonista e padrone del suo destino. Scusate se non posso aiutarvi di più.

2 ottobre 2010

La Norvegia presentata dai norvegesi!

Storia semiseria della Norvegia



Essere norvegesi - Lezione 1



Scherzone Norvegese

Italia, ma mi vuoi bene? (Post triste)

In Italia lavoro come coordinatore in una piccola associazione di volontariato che si occupa del mantenimento e valorizzazione del verde di due parchi di Verona. E' un lavoro molto interessante per un laureato in scienze forestali perché bisogna saper fare di tutto: contabilità, reclutamento di volontari locali ed esteri (quindi bisogna saper le lingue straniere e, non facile, il giusto approccio per collaborare persone di cultura, etnia e estrazione sociale diverse), organizzazione del lavoro, gestione amministrativa di progetti finanziati con fondi privati e pubblici (quindi sapere rendicontare un progetto, redarre relazioni tecniche ecc.) ma bisogna anche sapere usare macchine agricole, motoseghe, decespugliatori. Spesso si smanetta nei motori.

Insomma in una mia tipica giornata lavorativa parlo dialetto e spagnolo, italiano e inglese. Devo pensare all'acquisto di attrezzatura e materiale ma anche che non manchi nulla per la bracciolata dei volontari senior.
Si torna a casa stanchi ma solo a descriverlo è un lavoro affascinante, non è vero? Si possono fare tante cose utili. Non immaginate come si cresce dal punto di vista umano stando in contatto con tante persone diverse.

Eppure se dite che siete un coordinatore di un'associazione di volontariato la gente alza le spalle e dice? E sarebbe? Già e che sarebbe?

E' una professione poco riconosciuta perché la maggioranza delle associazioni di volontariato in Italia sono condotte in maniera hobbistica; nobili attività per il dopo lavoro. La figura del professionista, cioè l'incaricato di coordinare i volontari, seguire i progetti e curare gli aspetti amministrativi ancora non esiste ufficialmente.
Morale? Stipendi bassi e poco riconoscimento professionale (Molto del lavoro quasi non viene neppure notato e mi ci serve un certo impegno a far notare che il successo di certe iniziative non è frutto della casualità).

I parenti mi chiamano “il manovale laureato”. E a volte, nelle giornate no, lo penso anch'io.

Un giorno per esempio mi trovavo in un palazzo della Regione Veneto a Mestre e stavo attendevo il mio turno per discutere di una pratica. Mentre aspettavo in corridoio, un operaio riempiva il distributore automatico di bibite e chiacchierava con un usciere. Parlavano di crisi economica, di fannulloni, i soliti discorsi da ufficio pubblico. Ad un certo punto l'operaio rivelò all'usciere l'ammontare del suo stipendio. Ci rimasi di sasso. Per riempire distributori di bibite prendeva mensilmente cento euro più di me. Chiaro non ce l'ho con lui, non è lui ad essere sottopagato.

Potrei prendermela con la mia associazione e pretendere condizioni salariali migliori però conosco il bilancio e so che obiettivamente non possono fare di più. Un errore nel nostro sistema economico però c'è. Deve esserci, sennò questa ed altre situazioni, tipo quella che vado a raccontare non potrebbero esistere.

Qualche anno fa ero stato invitato al matrimonio di una mia compagna dell'università. Ricordo che ero un po' sorpreso nel rendermi conto di essere suo coetaneo quindi anch'io in età da matrimonio anche se nell'ambiente lavorativo e famigliare ero (sono) trattato rispettivamente da apprendista e da adolescente. Immaginate la mia sorpresa nel vedere che alcuni miei compagni di corso avevano addirittura procreato e autentici bambini piccoli giacevano addormentati nelle carrozzine. L'argomento principe con i compagni, visto che l'amore e la salute andavano bene era il lavoro. Cosa cioè la vita ci avesse offerto fin'ora in cambio di cinque anni di studio, tirocinio, tesi, esame di stato e iscrizione all'ordine. 

Alcuni facevano il dottorato di ricerca (affrontando importanti ricerche specialistiche) a ottocento euro al mese. Altri erano insegnanti precari, se avevano lunghe supplenze, per esempio per maternità, guadagnavano anche discretamente però l'anno seguente sarebbe stato un'incognita.

Insomma o le professoresse fanno all'amore oppure i neolaureati tirano la cinghia. Altri lavoravano in cantina sociale, altri facevano i giardinieri e altri collaboravano presso studi tecnici. Lavorare in uno studio tecnico è la migliore strada per farsi una professionalità.

La differenza fra le nozioni apprese all'università e le conoscenze utili per lavorare è la stessa che passa tra il recitare l'alfabeto e comporre articoli di giornale.

Mi aveva colpito il racconto di una ragazza, una giovane laureata come me in Scienze Forestali.

Insomma, spiegava, vi presentate presso un libero professionista che in vostra presenza si atteggia come uno chef francese al cospetto dell'ultimo lavapiatti extracomunitario. Più o meno ti spiega di cosa si occupa e poi ti chiede se ti interessa.
Non si parla di remunerazione. Se timidamente chiedete qualcosa a riguardo il tizio o meglio il dottore ti risponde: “Ehi, prima vediamo se sei all'altezza poi vedremo”. Prima di capire se siete all'altezza devono passare mesi, meglio se ogni tanto fai presente la tua situazione, magari con una battuta per non essere troppo diretti.

Alla fine sì, il grande maestro ti fa presente che nonostante tutto non sei malissimo (se effettivamente hai stoffa), che puoi aprire partita IVA e lui dividerà i compensi delle pratiche portate a termine con te. Ti offro un lavoro flessibile, ti dice salendo sulla sua BMW nuova, non esistono altre soluzioni contrattuali sennò devo chiudere bottega.

Teoricamente, secondo questo concetto di flessibilità, l'illustre professionista ti propone alcuni progetti accordandosi su obiettivi, metodi, scadenze e compenso. Beh, penserete che così, da libero professionista, potete scorrazzare per il territorio come un free lance, collaborare con chicchessia incluso portare avanti progetti vostri. Largo ai giovani! Venga competitività!

Non proprio. Anche se non sta scritto in nessun contratto avrete un orario di lavoro di otto ore, nel quale oltre ai progetti sbrigherete anche un po' di faccende di segreteria (telefono, fax, archivio fatture ecc.), se vi passa per le mani un cliente lo condurrete in studio, diversamente è alto tradimento. La vostra vita è disciplinata da un regolamento interno come in qualsiasi ufficio.

Insomma siete a tutti gli effetti dei dipendenti. L'unica cosa che vi manca, particolare non trascurabile, sono i diritti dei dipendenti: ferie, malattia, gravidanza, aspettativa., tredicesima. Niente di tutto questo e se un giorno per caso litigate col capo, egli, il dottore, l'esimio maestro, ti può legalmente cacciare via su due piedi. Ti fa letteralmente scomparire con la bacchetta magica.

Spero vivamente che questo caso sia un'eccezione, anche se non ne sono certo.

Qualche giorno fa scorrendo alcuni annunci di lavoro ne ho incontrato uno incredibile. Un vivaio cercava un operaio generico con laurea in scienze forestali. Uno si laurea per fare l'operaio generico? Il gioco era chiaro, ovviamente si offriva un incarico di una certa professionalità pagato però una miseria.

A conclusione di questo malinconico quadretto, considerando invece il profondo rispetto dimostratomi dai norvegesi per i quali io sono uno straniero, penso: perché deve essere proprio la mia patria a prendermi a scarpate?

28 settembre 2010

Parla come mangi!


E la lingua? Beh ragazzi, lo confesso, il norvegese in quattro mesi non l'ho proprio imparato e ciò mi rattrista perché la conoscenza della lingua locale mi avrebbe permesso di capirne meglio la cultura. 

A riguardo sono curioso, sapete. Per esempio, i norvegesi dicono abitualmente parolacce quando parlano? E che significato avranno le loro esclamazioni? Diranno alce bastardo o porco salmone? O per la neve di Odino? Chissà, questo per me rimarrà un mistero.

Come poco ho scoperto sul loro senso dell'umorismo. Credo sia abbastanza simile a quello britannico, velato e sarcastico. Però lavorando otto ore al giorno in bosco, abitando in un'area disabitata e avendo la possibilità di esprimermi in inglese con le poche persone con cui sono in contatto, beh avete capito è molto difficile. E la conoscenza linguistica è importante se si vuole vivere in Norvegia. Il novanta percento dei lavori offerti, ovvero quelli che per qualsiasi ragione devi rivolgerti ad un altro essere umano, ha come requisito base la conoscenza linguistica.

Se ci pensate questa è una regola generale del mondo.

E come si impara il norvegese? In Italia credo ci siano dei corsi però solo a Roma e a Milano, credo per mancanza di insegnanti norvegesi (se sono pochi in patria immaginate nel resto del mondo). Esistono in commercio dei vocabolari e dei frasari da viaggio e questi possono apportare un piccolo aiuto nella vita quotidiana specie per imparare le frasi di cortesia, i saluti e la maniera di presentarsi. 

Questo è proprio il minimo. 

Non facciamo come quei volontari statunitensi che, con moderato piacere, ho incontrato in Italia. Dopo tre mesi di permanenza e di relativo corso di italiano tornavano in patria salutando in inglese: Good bye!

No, in Norvegia si saluta e si ringrazia in norvegese. Almeno questo piccolo gesto di rispetto lo dobbiamo.
Leggendo vari blog e forum sparsi nella rete ho appreso che gli studenti erasmus possono beneficiare di corsi di lingua all'interno dell'università. Anche i lavoratori stranieri sono invitati ad imparare il norvegese e i comuni organizzano periodici corsi di alfabetizzazione a prezzi convenienti.

Dai blog scritti dagli italiani che vivono stabilmente in Norvegia si evince che seguendo con impegno il corso e sforzandosi di parlare il più possibile già in un anno si ottengono risultati apprezzabili. Poi si perfeziona il vocabolario e l'accento.

A questo punto la Norvegia ti si presenterà a nudo nel bene e nel male e ne potrai parlare in maniera autorevole.

Come è il suono della lingua norvegese? E' un po' difficile da descrivere. Sembra tedesco, però molto più dolce. A sentirlo non risulta armonico come una lingua latina con la giusta alternanza fra consonanti e vocali. Per orecchi poco allenati come il mio ci sono parole che sembrano terminare con tre consonanti di fila. Certe parole risuonano un po' come uno yodel svizzero. I norvegesi parlano generalmente a voce bassa, senza gesticolare. Durante il loro discorrere a volte sembra quasi che sospirino, che parlino aspirando l'aria. 

Per esempio “Ja” vuol dire “sì”e si pronuncia come fosse tedesco però inspirando. Provate. Questo è un suono in norvegese.

Per chi volesse studiare qualche frase base può usare questo podcast (in inlgese) che si chiama One minute norwegian. E' fatto bene. 

Altrimenti ci si può godere le lezioni questo simpatico insegnante locale al quale spero gli sia conferito un riconoscimento per il suo lavoro. Anche voi, mi raccomando fategli i complimenti.(Clicca per assistere alle lezioni)

25 settembre 2010

Norvegia: cose belle e meno belle

Penultima settimana, o miei affezionatissimi, poi ci lasciamo. Comincio a tirare i remi in barca e fare il punto della situazione di ciò che mi ha offerto e quindi può offrire anche a voi il Troms.









Cose belle:



1) L'acqua del rubinetto arriva direttamente dai ruscelli di montagna. E' deliziosa.
2) L'aria non è inquinata e profuma di bosco.
3) Il cielo quando è sereno sembra dipinto da Dalì.
4) Mare e montagna sono a pochi chilometri di distanza.
5) Assistere al tramonto è un'autentica esperienza.
6) Le donne belle sono davvero molto belle.
7) Se peschi un salmone di una certa dimensione diventi notizia per il quotidiano locale.
8) Se sei invitato a cena il tuo ospite non insisterà perché tu assaggi tutto o faccia il bis.
9) Nessuno si fa gli affari tuoi.
10) La gente ti rivela che non ha problemi economici.
11) Se qualcuno corre è solo perché sta facendo jogging.
12) Chi si considera sportivo non è perché segue il calcio alla televisione
13) Tutti pagano le tasse, chi non le paga non è considerato “più furbo”.
14) Il telegiornale norvegese è meno drammatico e pessimista di quello italiano.
15) E' più facile ricevere un invito per un'attività all'aperto piuttosto che per vedere la televisione.
16) I film e i programmi televisivi vengono trasmessi in lingua originale
17) La maggioranza della popolazione parla correttamente inglese.
18) E' impossibile perdersi in macchina.
19) Negli uffici pubblici e nei negozi, se sei proprio sfortunato, trovi una fila di non più di tre persone.
20) L'ora di punta consiste in cinque macchine in fila.

Cose meno belle:

1) La lingua locale è ostrogoto arcaico e quando impari a fatica come si dice “buona sera” i norvegesi ti precisano che esistono anche i dialetti.

2) L'alcool non si divide.
3) Si hanno conversazioni amichevoli con sconosciuti solo se questi ultimi hanno sbevazzato.
4) Durante l'estate zanzare, tafani e vespe non danno tregua.
5) Nei luoghi pubblici c'è cortesia ma non giovialità. Scordatevi di fare due chiacchiere con il fruttivendolo o con il postino.
6) Non di rado i passanti hanno un'aria malinconica.
7) Il sole di mezzanotte è un fenomeno affascinante però le finestre delle case non dispongono di persiane o di scuri.
8) Non esiste movida notturna né l'abitudine di farsi le vasche in centro.
9) Non c'è abbondanza di musei o di centri culturali.
10) Non si vedono né gatti né canarini.
11) A giugno le cime delle montagne sono ancora innevate e l'autunno comincia a settembre.
12) Non si mangia molta frutta e verdura.
13) Non esiste il concetto di caffè espresso.
14) La pizza locale prevede una spolveratina di ragù di renna.
15) La pasta ha un punto di viraggio alla scottura molto breve.
16) Quando esci dal supermercato il peso delle sporte è bilanciato dal sostanziale alleggerimento del portafoglio.
17) Gli argomenti di conversazione che vanno per la maggiore sono caccia, pesca e calcio.
18) Quando ci si sente soli ci si sente proprio soli.
19) Lavorando in bosco compaiono inevitabilmente i fantasmi del tuo passato. Rischi di tornare a casa come se avessi litigato con qualcuno.
20) In Norvegia sei uno straniero e lo sarai per tutta la tua permanenza.

23 settembre 2010

Norwegian Humor

Così si ride in Norvegia. Questi che vi propongo sono degli spot che passano in televisione!








22 settembre 2010

Ieri, oggi e l'Ipod

Ho già scritto da qualche parte che questa è la mia seconda esperienza in Norvegia. La prima volta è stata nel 2002. 

A seconda dei punti di vista otto anni possono essere tanti o pochi.

Per gli abeti che avevo piantato otto anni non sono poi molti; adesso sono alti circa mezzo metro.
Non parliamo poi delle montagne e dei ruscelli circostanti. Loro mi direbbero, sei stato via otto anni? Non ci abbiamo fatto caso, percepiamo la vita degli uomini come tu i lampi durante un temporale.

Questa storia degli anni mi incuriosiva così ho scrutato il mio volto allo specchio alla ricerca di cambiamenti e sì, ammetto che ci sono stati. Beh, niente di grave sono, diciamo, più maturo. Nel 2002 ero uno sbarbino. I capelli ora mi si sono schiariti per i quattro anni di lavoro all'aria aperta ma il fisico ancora tiene. 

Quanto alla storia della mia vita interiore otto anni hanno provveduto a sballottare, frullare limare, smussare il mio carattere per renderlo più adatto a questi tempi difficili. Sì, da questo punto di vista, ne è passata parecchia di acqua sotto i ponti.

L'aspetto però più sorprendente è il progresso tecnologico. Ci siamo mossi con rapidità. Ci credo che i nonni piangono e si sentono tagliati fuori. Quanto a tecnologia multimediale otto anni fa accendavamo il fuoco sbattendo due selci. Non ci credete? Vi faccio qualche esempio della mia vita norvegese di allora rispetto a quella di adesso.

Telefono
2002: Cellulare. Una chiamata veloce alla famiglia una volta alla settimana. Squilli agli amici. (Lo squillo era un gesto sociale preistorico. Si faceva il numero di un amico, si lasciava squillare il telefono una volta e si riattaccava. Lo squillo significava: “Ciao, ti penso! Stammi bene!”. Chi riceveva molti squilli poteva sentirsi soddisfatto del proprio valore sociale viceversa il contrario.
2010: Skype. Chiamate illimitate a tutti gratis e con web cam.

Posta elettronica
2002: Esisteva la possibilità di inviare e-mail, solo che dovevo andare a casa del mio vicino, chiedere in prestito il computer e scrivere velocemente perché il computer serviva anche ai figli.
2010: Con la tecnologia wireless e un portatile posso inviare e-mail tutti i giorni direttamente dalla mia camera.

Musica
2002: Cinque CD portati dall'Italia, un lettore CD a pile ricaricabili, carica batteria e cuffiette. Per integrare ascoltavo la radio locale
2010: Ipod da sette giga byte di memoria contente musica e podcast radiofonici in italiano, inglese e spagnolo. Possibilità di accedere a piattaforme quali youtube e Spotify.

Film
2002: Palinsesto della televisione norvegese che propone film in inglese sottotitolati in lingua locale.
2010: Film in stream su internet nella lingua che decido io.

Diario di viaggio
2002: Diario scritto a mano su fogli di quaderno
2010: Blog disponibile a tutti su internet

Foto
2002: Macchinette fotografiche usa e getta a rullino. Ho potuto apprezzare la qualità delle foto solo dopo il mio ritorno in Italia
2010: Macchina fotografica digitale con possibilità di filmare

Qualcuno potrebbe osservare che la mia prima volta in Norvegia è stata particolarmente dura. Niente affatto, non ho provato nessun disagio se non sai dell'esistenza dell'Ipod, delle macchinette digitali e di tutte le potenzialità di internet vivi comunque bene e senza ansie o tachicardie. Proprio non ci pensi.
Se leggete un vecchio libro del secolo scorso vi troverete senz'altro tutti i tormenti dell'animo umano però nessuno si lamenta che manca la corrente elettrica o che la maniera di comunicare per lettera non è abbastanza efficace. Troverete il personaggio del nonnino di turno che dirà: "I treni e il telegrafo! Invenzioni del demonio! Si stava meglio prima!"
Il problema della tecnologia è semmai dopo quando, per qualche ragione ci viene a mancare uno di quegli apparecchi dal design cult che ci accompagna nella quotidianità. E' lì che comincia la tragedia e subito capiamo chi è a servizio di chi.

20 settembre 2010

Senja

Oceano



Oggi ho guidato per qualche centinaio di chilometri perché mi andava di vedere l'oceano.

Otto anni fa la stessa esperienza mi aveva molto ispirato.

Dopo un'ora e mezza di viaggio ho riconosciuto lo scoglio di allora e lo spiazzo per parcheggiare la macchina.
Ho saltellato sui pietroni fino a trovarmi ancora una volta di fronte all'oceano Atlantico.

Io e l'oceano a confrontarci tu per tu. Ne ammiravo l'estensione, il colore severo dell'acqua, le onde che si infrangevano sui fiordi circostanti.

Immenso.

Stendendo la mano in piedi sull'ultimo lembo di terraferma indicavo l'America.
Che bella parola “l'America”, evoca in me futuro e speranza. Tutto ciò che era Europa (saggezza e radici) stava invece alle mie spalle.

Ero nella stessa situazione della “Canzone della bambina portoghese” di Guccini.
Solo che questa volta non c'era Guccini a darmi dritte filosofiche e a cantarmi: “Vivere, vivere, e poi... poi... vivere!”

Io e l'oceano. Il vento mi scompigliava i capelli ormai lunghetti e mi faceva stare bene.

L'America dall'altra parte.

Nel corso della mia vita, che è la vita di uno qualsiasi, ho avuto la fortuna di attraversare quell'oceano ben otto volte e, prima che finisca l'anno, compirò un'altra traversata.

Oggi godiamo di possibilità che nemmeno Re Sole poteva permettersi. Cultura, scienza, tecnologia, economia, tutto alla portata di mano.

La bellezza spesso tende la mano, se la tende a me la tende a tutti, ma chissà perché la rifiutiamo preferendo rimanere rannicchiati e impauriti. Le visioni grandiose sono sostituite da visioni ragionevoli o peggio, da pensieri di pura sopravvivenza.

La bellezza però c'è, esiste. Il mondo là fuori è bello.

Credo che quello scoglio innanzi all'oceano e la sensazione di assoluta libertà che ho respirato a pieni polmoni, faranno parte di quel cortometraggio che l'Altissimo mi proporrà nell'ultimo momento... certo allo scopo di sdrammatizzare.


15 settembre 2010

Il lato grigio della Norvegia

14 settembre 2010

Harstad

Qualche settimana fa mi sono preso un giorno di permesso per andare a visitare Harstad. Perché Harstad? Perché è una cittadina costiera a duecento chilometri di distanza da dove vivo e quindi si poteva visitare in un giorno senza dover spendere soldi per il pernottamento.

Che c'è di bello da vedere ad Harstad? Volete una risposta onesta e schietta? Niente.
O meglio niente se avete visto una qualsiasi cittadina norvegese.

Il centro con i negozietti di artigianato, articoli sportivi, pub discoteche, ristoranti nei quali degustare cucina cinese, italiana, greca e messicana. Cucina greca, messicana e italiana erano proposte nello stesso locale, mentre quella cinese in un ristorante a parte.

Si penserà, chissà che confusione fanno i norvegesi; tacos e pasta al ragù, burritos e tortellini.
All'inizio pensavo ad una scarsa cultura gastronomica da parte loro poi mi sono reso conto che anche noi non stiamo meglio per quanto riguarda la cucina etnica.

Per esempio esistono ristoranti di cucina giapponese gestiti da cinesi, a Verona hanno aperto un posto self service cino – giapponese. Immaginate mangiare insieme sushi e maialino in agrodolce. La cucina messicana scaligera ha sapori molto diversi da quella originale. E il buon kebab? Teoricamente come lo si conosce è un invenzione degli immigrati turchi in Germania ma a Verona oltre che turchi abbiamo kebabbari, pakistani e marocchini.

Ecco forse perché qui, come la battuta del film “Mediterraneo”, si potrebbe dire: “Italiani, greci e messicani, una faccia, una razza”

Dicevo il centro con i suoi luoghi di svago, l'area portuale, l'area industriale e commerciale e quella residenziale. Belle casette eccetto una che mi impressionò perché era bruciata. Sul retro erano stati ammassati mobili e cianfrusaglia varia e i residenti vivevano in una squallida roulotte installata in giardino. Lo spettacolo mi parlava di alcolismo e forti problemi sociali. Era il primo esempio di povertà in Norvegia.

Il tempo era orribile, pioveva che Dio la mandava. Percepii qualcosa di diverso rispetto alla situazione italiana. Per un momento non seppi che cos'era poi fu lampante.

Anche se pioveva non c'era traffico. A Verona, basta una pioggerella di primavera per saturare le strade di vetture che procedono più lente del “a passo d'uomo” con tutti che si fanno scoppiare le coronarie a forza di bestemmiare, suonare il clacson e sporgere la testa per vedere se c'è spazio per infilarsi.

Qui no. La gente (inclusi gli anziani) apre l'ombrello o indossa un impermeabile e cammina come se niente fosse. Si fermano anche a chiacchierare sotto l'acqua. Impensabile da noi eppure quasi tutti i siti di Verona, con un minimo di piste ciclabile, sarebbero raggiungibili in bici.

Ma perché è impensabile da noi? La pioggia vi assicuro che è uguale. E la gente non scivolava sul marciapiede, non si ammalava, nel peggiore dei casi solo si bagnava.

Non lo so ma pare che da noi ci sia una fobia per la pioggia. Ricordo la mia adolescenza, Quando mi sorprendeva un acquazzone e tornavo a casa fradicio ricevevo sgridate a mio avviso immotivate: “Guarda, sei tutto bagnato!” Ebbene sì, piove, non avevo l'ombrello, come sarei dovuto essere? Ci si asciuga, se si è preso freddo ci si scalda con una doccia e poi tutto si risolve. No, sembrava che fossi tornato a casa passando dalle fogne.

Pensavo al sogno di tanti attivisti della mia città che si battono da anni per la riduzione del traffico. Come dicono loro non esiste nessun impedimento tecnico; è solo questione di cultura.

Volete un altro aneddoto sorprendente? Qualcosa di inimmaginabile da noi?

Verso le quattro mi trovavo di fronte ad un edificio scolastico. Ne osservavo la struttura a scatolone modulare molto simili alle nostre scuole. Ad un certo punto suonò la campanella e gli studenti uscirono. Dall'età dei rampolli dedussi che si trattava di una scuola media.

Anche in questo caso subito non mi sono reso conto ma poi la differenza con la realtà italiana è   stata lampante. Nel piazzale della scuola non c'era nessuno. Nessun genitore in macchina a recuperare il proprio figliolo attirando la sua attenzione aggrappandosi al clacson. Non c'era nemmeno il nonnino con la casacca fluorescente. 

Qui basta fermarsi sovrappensiero davanti alle strisce pedonali per bloccare il traffico.

E che facevano i ragazzini? In crocchi si dirigevano verso casa, alla nordica, senza tanto gridare. Parte di loro andava alla fermata dell'autobus.

Perché invece da noi si scatena giornalmente  il safari selvaggio per portare o andare a prendere i figli? La scuola media, generalmente è nel quartiere dove si abita, i rischi sono gli stessi  che corrono i ragazzini norvegesi. 

Anch'io negli anni novanta come la maggioranza dei miei coetanei andavo a scuola a piedi, in autobus o in bicicletta. Cosa è successo?

13 settembre 2010

Collezione Autunno - Inverno 2010

12 settembre 2010

Ehi! quell'uomo!

Che pace! Qui è autunno inoltrato. 

Il bosco sembra in fiamme tutto colorato di giallo e di rosso e i profili dei monti sono così nitidi che ci si può divertire ad esplorarne i profili in tutti i dettagli. La natura sembra riposare prima di sbaraccare completamente e dar posto alla neve, al ghiaccio e alla lunga notte invernale.

Sembra una di quelle notti, dopo la festa, quando si abbassa la musica e si comincia a chiacchierare alticci, stanchi ma sereni.

Le zanzare non danno più fastidio, ho dovuto sopportare solo qualche vespa nell'ora della pausa pranzo. C'è un silenzio profondo ad avvolgere il bosco ogni tanto rotto dal richiamo di un uccellino, dal rumore della brezza sulle foglie delle betulle. 

Nient'altro.

Cinque giorni di bel tempo, sette giorni senza pioggia, quanto di meglio per chi deve piantare alberi.

Questa settimana ho messo a dimora 1800 abeti. I giovani alberi non erano più alti di trenta centimetri ma tutti sani e rigogliosi. L'obiettivo era quello di riforestare una conca fertile ed umida dell'estensione di circa due ettari e mezzo. Il sito è a mezz'ora di moto dalla casa nella quale vivo per questa ragione ho deciso di portarmi il pranzo al sacco.  Lungo il tragitto c'è un  da attraversare un guado perché il disgelo primaverile ha distrutto la pista forestale.

Il lavoro all'inizio è stato un po' complesso perché nella conca vi era una lussureggiante vegetazione erbacea e arbustiva che faceva perdere il senso di orientamento, qualcosa di seccante se ti hanno incaricato di piantare gli alberi a righe dritte (sesto di impianto 2 x 2). 

Dopo parecchie parolacce e riflessioni di geometria ho capito che l'unica maniera per fare righe dritte è piantare gli alberi a triangolo equilatero. Se ne piantano un paio (A e B) a 2 metri di distanza e il terzo C a 2 metri rispettivamente da A e a 2 metri da B. Si forma così un triangolo equilatero; aggiungendo alberi con questo criterio alla figura che si forma si ottengono righe molto precise.

La buca si scava con una specie di zappa succhiello, metallica. Premendo l'attrezzo con il piede si estrae una carota di terreno creando così il buco per l'albero. Il terreno è una specie di spugna morbida di muschio e humus nero. Da questo punto di vista, mettere a dimora abeti non è molto faticoso.

Ogni tanto facevo delle pause per sgranchirmi, scattare qualche foto e riflettere.

Pensavo che questi abeti saranno maturi più o meno nell'anno 2100 ossia a tagliarli saranno i figli dei miei nipoti. Ci pensate, in un mondo impaziente con tempi di consegna “24 ore”, “il prima possibile”, “entro una settimana al massimo”, sto svolgendo un lavoro che vedrà un risultato fra novant'anni.

E' affascinante, mi sto dedicando a qualcosa  che di sicuro andrà oltre la mia vita.

Mi sono immaginato quegli uomini che ora come ora non esistono nemmeno nei pensieri, che nasceranno, cresceranno, vivranno esperienze simili alle mie in un mondo, spero migliore ma che sicuramente andrà loro stretto.

Chissà se allora mi restituiranno la cortesia, se si renderanno conto che quella pecceta così geometrica non è naturale. E chissà come reagiranno se sapessero che a piantare quegli alberi è stato un italiano di cui si sono perse le tracce e dimenticato il nome.

Non so a voi ma a me capita di pensare a uomini lontani osservando prodotti esotici, specie il caffè. L'odore del caffè mi rimanda all'immagine di un gruppo di contadini colombiani don la pelle bruciata dal sole e dai vestiti chiari con i cappelli di paglia che chiacchierano fra loro a fine giornata. E' un immagine stupida, probabilmente non si vestono nemmeno così e quando hanno finito la giornata corrono a casa però il loro caffè mi parla di loro.

Anche la prossima settimana pianterò alberi, speriamo faccia bel tempo.

7 settembre 2010

Segnali di Fumo

Carissimi, forse avrei dovuto dirvi esattamente dove sto in uno dei primi post. Provo a rimediare lanciandovi un segnale di fumo con google. Capite perché l'indirizzo di questo blog è: "In cima al mondo". Un saluto a tutti voi!



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6 settembre 2010

Amore Nordico II


La percentuale dei divorzi qui è piuttosto altina e questo si può interpretare in due modi.
O i nordici non possiedono un'educazione sentimentale tale da far durare le relazioni per tutta la vita o hanno capito che, nel corso della vita, ci possono essere più capitoli amorosi.

Probabilmente le cause di divorzio sono civilissime, condotte con buonsenso, con gli avvocati che parlano a bassa voce e gli interessati seduti composti ad attendere le decisioni del giudice però ugualmente rimane un episodio difficile dell'esistenza.

La prima volta che sono stato in Norvegia ho fatto conoscenza con un signore sposato il quale mi invitava spesso a casa sua. Aveva cinque figli e l'entrata era una distesa di scarpe. Mi chiedeva di perdonarlo per il disordine di quella casa così piena di vita.

Quest'anno sono tornato a fargli visita. Aveva divorziato, viveva solo con una figlia la quale però viaggiava spesso. Di fatto viveva solo. Gli chiesi come stava. Sembrava tranquillo, mi disse che adesso poteva dedicarsi ai suoi hobby senza continuare a correre di qua e di là. Mi mostrò una stanza che stava rifoderando di legno e mi spiegò che presto avrebbe segato una quantità di tronchi per farne legname da opera. Sarà, però lo ricordavo più felice quando era indaffarato con moglie e figli.

Ho anche avuto modo di chiacchierare con una nonna innamorata dei suoi nipotini. Mi ha spiegato più volte che una delle sue figlie ha divorziato risposandosi con un altro uomo il quale ha accettato amorevolmente i figli avuti da lei nella precedente relazione. Il fatto che la nonna sia soddisfatta per come sono andate le cose sta a significare che l'accettare figli non propri non era qualcosa di assolutamente scontato in Norvegia ma il nuovo marito si è dimostrato maturo e comprensivo. Ora una nutrita schiera di fratellastri convive sotto lo stesso tetto.

In Italia ho assistito ad un caso analogo. Si non si trattava di un matrimonio bensì di un semplice fidanzamento. Persone vicine a me formalmente non disapprovavano poi però, in privato, sfottevano allegramente. Che c'è da sfottere, chiedevo? Niente.

Ancora in questa situazione norvegese uno dei nipoti vive con l'ex marito della figlia quindi i nonni sono soliti invitare le due famiglie per cene e picnic.

E' quella che viene definita la “famiglia allargata” una minaccia secondo i cattolici perché i figli crescerebbero privi di figure genitoriali stabili però è o sarà una situazione comune anche da noi dove il numero delle separazioni è in forte aumento.

Dirò la mia anche se non sono un sociologo, bensì un normale tizio che ragiona su quello che vede.

Secondo me checché ci dicano, la famiglia non ha mai conosciuto “tempi d'oro” assoluti. Ogni epoca ha avuto le sue storture giudicate storture dai posteri. 

Persino sulle famiglie bibliche ci sarebbe da discutere ad esempio su quegli episodi di sesso extra coniugale, incesto, tradimenti, sacrifici. Si dirà erano altri tempi, ma anche i tempi odierni sono “altri tempi”. Violenza, paternalismo, non riconoscimento del ruolo della donna ecc. Da ciò si deduce che l'umanità da sempre cresce all'interno di famiglie non perfette. Quindi è proprio la non perfezione la norma. 

Accanto a ciò c'è il desiderio degli uomini di crescere, di offrire ai propri figli una situazione migliore della propria quindi se la famiglia allargata è figlia di quella tradizionale ci deve essere una qualche relazione.

Ora nella pratica esistono esperienze positive e negative che interessano entrambi i contesti famigliari in esame. 

Tutti avranno sentito storie esemplari di buona famiglia tradizionale con i genitori che fra mille sacrifici tirano su i figli cercando anche di trasmettere loro valori che saranno i punti fermi della vita adulta e di famiglie tradizionali di facciata nelle quali la coppia ormai morta naviga nell'esistenza come una nave fantasma. 

Sono noti episodi di figli sbandati e sballottati da genitori separati che si comprano l'affetto con regali ed eccessivo permissivismo e al contrario storie di famiglie allargate esemplari come quella che mi ha raccontato la nonna norvegese.

Da ciò deduco che non tanto il modello famigliare a fare la differenza bensì come all'interno del nucleo vengono condotte le relazioni, come si affrontano i problemi. E' una questione più di sostanza che di forma.

Coppie miste italo scandinave? Funzionano? Secondo quanto emerge da blog e forum parrebbe di no, specie la combinazione maschio italico e femmina scandinava. Perché? provate a leggere questa simpatica descrizione della tipica ragazza norvegese. Ora immaginate di farla convivere con un ragazzo gelosetto, possessivo e mammone come lo sono, ahimé, tanti connazionali e concittadini: (Mi? Mi no voyo una troia che la da a tuti).

Il nocciolo della questione infatti è come si considera il sesso nel nord Europa e in Italia.

Con una metafora possiamo dire che il sesso qui è una specie liquore. Se versato nell'impasto della torta dell'amore ne conferisce un ineguagliabile gusto però si può bere ogni tanto liscio senza problemi che è buono lo stesso.

Da noi, sempre con una metafora, il sesso è invece un sigillo di qualità con il quale si marchia solo il prosciutto del “vero amore”.

Conosco una sola coppia Italo-finlandese. Lei era venuta in Italia per un soggiorno in qualità di volontaria presso una nota associazione ambientalista. Leggenda vuole che casualmente abbia incontrato in un bar un ragazzo italiano e che sia scoccata la scintilla anche se lei non parlava italiano e lui non conoscesse né il finlandese né l'inglese. Ora vivono insieme felici in Italia da diversi anni. Non conosco però i dettagli della loro storia né le eventuali barriere culturali che abbiano potuto creare ostacolo e non vado certo ad investigare a riguardo perché come dice il detto: “chi si fa li cazzi sua vive cent'anni”.

Chiudiamo in bellezza e in leggerezza. Con il mio blog voglio aiutare a creare contatti fra i popoli e sapere che qualcuno si sia innamorato di una ragazza scandinava anche aiutato da questo post non può che farmi piacere. 
Quindi vi riporto un link di consigli preziosi per chi si accinge a sedurre ragazze norvegesi. Sono consigli molto originali.

Se avete avuto love storie, serie o semiserie con scandinavi o scandinave e vi sentite di aggiungere aneddoti o di correggere, scrivete un commento.


5 settembre 2010

Amore Nordico

E' una bella giornata di sole nella cittadina di Tampere, Finlandia. Il paesaggio è bianchissimo. Bianchi gli alberi carichi di neve, bianco l'immenso lago ghiacciato. La temperatura è intorno a
-10 °C e la neve è di una consistenza sabbiosa quindi non si scivola ed è possibile andare in bicicletta. 

I finlandesi si spostano in bicicletta tutto l'anno.

Anche la ragazza della nostra storia, Rebekka (nome di fantasia) è in sella. Sta andando in centro a sbrigare commissioni.

Bella ragazza, Rebekka, specialmente quel giorno con il cappottino nero, berretto e guanti abbinati.
Che gnocca pensa in quel momento Erik (altro nome di fantasia, non crediate), giovane locale alto, biondo bello fisicato dallo sci di fondo e da una quantità di sport outdoor che sta camminando lungo il marciapiede.
Rebekka si rende conto di essere notata da un figo e ricambia volentieri lo sguardo. Pensa, e che gli dico? Lo invito a prendere un caffè?

Erik, resosi conto di essere stato scoperto abbassa lo sguardo. Rebekka lo mantiene concentrata inviando messaggi telepatici: “Dannazione guardami, dannazione sono qui”.

Attimi eterni. 

All'improvviso però Rebekka si ritrova di schiena per terra nella neve. Non pensate male, semplicemente con la testa girata non aveva notato un cumulo di neve e ci era andata a schiantarcisi con bicicletta e tutto come succede nei film comici.

Rebekka si riprende, si alza, si toglie la neve di dosso e si guarda intorno. Il figo è scomparso.

Sai una cosa dei ragazzi finlandesi, mi dice Rebekka, sono dannatamente timidi e non hanno il minimo senso del romanticismo.
Da ciò deduco che invece le ragazze finlandesi apprezzano il romanticismo, magari alla maniera nordica, a piccole dosi che non interferiscono con l'assoluta parità sociale dei due sessi.

Certo, le dico, hai ragione, le donne meritano romanticismo. Se mi avesse detto che le donne meritano scudisciate sul sedere le avrei dato comunque ragione.

Chiacchierare con una ragazza ha le stesse dinamiche del pesce all'amo, si dà loro lenza e poi al momento opportuno si riavvolge. Loro sicuramente fanno lo stesso con noi con migliori risultati.

Chiedo a Rebekka, come avviene il gioco della seduzione nel suo paese. Ancora una volta mi fa notare la gente vive come in una bolla che la isola dagli altri. I contatti sono molto rari. Io la pungolo e le dico che una volta in Messico vidi una compagnia di amici che era solita passare serate a chiacchierare scambiandosi carezze e massaggi alla schiena. Fa la boccuccia, anche a lei piacerebbe ma non si può fare in Finlandia.

Le occasioni per fare conoscenza sono tante si va dalle classiche come frequentare un gruppo di amici, un corso, un ambiente di lavoro alle meno brillanti con l'aiuto dei Social Network o squallidamente in discoteca da ubriachi.

Sai cosa sono le “Puma Woman?” Mi chiede. No, rispondo. Nella mia mente compare una donna che fa jogging con le scarpe da ginnastica Puma però credo di essere in errore.

Rebekka mi mette al corrente che una mia amica che si sta laureando in sociologia sta facendo uno studio su di loro, nello specifico sta indagando come queste donne si descrivano all'interno dei Social Network.
Però che cos'è una “Puma Woman”? La Puma woman, (donna puma), è una donna matura che cerca e vive relazioni sentimentali con ragazzi più giovani. Una volta l'età poteva essere considerata un ostacolo per le donne mature (non per gli uomini).

Una “vecchia zitella” non la voleva nessuno oggi vive la propria esistenza da protagonista, ha molte più chance. E' un fenomeno sociologico abbastanza recente. Lo stanno studiando.

Ma torniamo a noi. Secondo quanto mi dice Rebekka, quando nel nord un innamorato dichiara i propri sentimenti, per la ragazza è una specie di shock. E' come se un tizio ti consegnasse il biglietto vincente della lotteria. Dai sospiri al chiaro di luna si passa in tempi rapidi ad un pratico progetto di vita insieme. Ci si sposa e per matrimonio, con tutti i distinguo e le eccezioni, qui si intende un semplice contratto di vita in comune non la coronazione stile favola Disney dell'idillio amoroso dove si è felici per sempre e ci si sorprende quando poi non è così. (Continua...)

30 agosto 2010

Che si ascolta quassù

Quando vuoi conoscere una ragazza c'è una domanda sbagliata che le rivolgi sempre.
Le chiedi: “Che musica ascolti?” In apparenza è una domanda leggera per rompere il ghiaccio. In realtà i gusti musicali sono qualcosa di intimo e complesso. E' come chiederle: credi in Dio? Sei di destra o di sinistra?
Imbarazzante, no?

Ebbene ricordo che alla festa di compleanno di Marcus una delle ragazze, non ricordo se fosse Miss Norvegia o la Vichinga mi avevano domandato esattamente questo. Farfugliai una risposta generica che includeva nelle mie preferenze praticamente tutto.

Perché vi dico ciò? Per due ragioni, per invitarvi a non domandare “che musica ti piace?” ad un tizio che avete appena conosciuto e per raccontarvi ciò che so sulla musica che si ascolta in Norvegia.

Se vi sintonizzate su una radio commerciale per esempio la locale “Radio Bardufoss” 
potete apprezzare i locutori che parlano e scherzano in norvegese stretto e rendervi conto che, come in tutto l'occidente, il genere che va di più è il pop in lingua inglese seguito dal pop in lingua locale che è pressoché uguale al primo.

La Norvegia oltre ad un proprio genere folk, coltiva tutti i generi musicali dal Jazz all'Hip Pop.

Una volta, ascoltando la radio, ho assistito ad un'intervista ad un musicista locale che suonava, pensate, raggae. La locutrice e il cantante dialogavano in norvegese e me lo immaginavo bello scandinavo: biondo, alto e pallido. Poi, al momento di cantare, avveniva la metamorfosi, il suo norvegese si convertiva in un inglese dal forte accento giamacaino con tanti “yeah! yeah!” e “Baby! Baby!” accompagnato da una chitarra acustica. Chi si immaginava il raggae qui nel nord! Eppure il mondo adesso è un crogiolo internazionale di culture, la geografia è qualcosa di superato.

Qualche parola va spesa per il metal specie il black metal i cui appassionati vedono nella Norvegia una terra fertile. Per la cultura dark i boschi, gli specchi immobili dei laghi, le chiesette di legno circondate da cimiteri è quanto di meglio una regione possa offrire. Le pallide dame nerovestite possono fluttuare in tutta libertà in codesti ambienti e perdersi nel sublime.

La Norvegia è anche la patria del musicista Black Metal Burzum che si è fatto 16 anni di carcere per aver assassinato il chitarrista Euronymous dei Mayjem mi pare per una diatriba per sulla miglior black metal band norvegese.

Di tutto questo vasto panorama musicale a me personalmente piace ascoltare il pop rock svedese che è molto melodico, grintoso e malinconico.

Vi segnalo due gruppi popolari anche in Norvegia: Kent e Cardigans.
I primi si definiscono la miglior rock band svedese, anche se non sono famosi a livello internazionale. Secondo me hanno un sound molto interessante e i loro videoclip, forti ed originali, probabilmente non piacerebbero ai nostri ambienti perbenisti. Io ho comprato due dei loro dischi; nel 2002 Vapen & ammunition e quest'anno Röd.
I Cardigans invece li conosciamo tutti. Li ascoltavo da adolescente non capendoci niente (l'inglese non era come non lo è adesso il mio forte) e convintissimo che fossero americani probabilmente messo fuori strada dal video “My favorite game”.
Quest'anno li ho riscoperti e li apprezzo ascoltandoli al crepuscolo dopo una giornata di duro lavoro.
Per ultimo vorrei segnalarvi una piattaforma svedese di musica in streaming. Si chiama Spotify

Propone una versione gratuita nella quale bisogna ogni tanto sorbirsi un minuto di pubblicità oppure un abbonamento a pagamento senza pubblicità. La libreria è immensa. Potete trovare musica internazionale di tutti i tipi.
L'unico problema è che attualmente Spotify è disponibile in Norvegia, Svezia, Finlandia, Regno Unito, Francia, Spagna e Paesi bassi. Per farlo funzionare in Italia bisogna chiedere consiglio a google.

Se qualcuno conoscesse gruppi norvegesi o scandinavi interessanti può aggiungerli con un commento.

29 agosto 2010

Non mi manca niente

Questa settimana ho lavorato in un'area piuttosto sperduta sul versante della montagna. Quando Marcus me l'ha mostrata non ho fatto proprio salti di gioia. Si trattava di un pendio scosceso nel quale era stata messa a dimora una quantità di giovani piante di abete rosso.

L'abete, apprezzatissimo per la qualità del legname, non è un albero autoctono; viene piantato artificialmente nei terreni più freschi e fertili. Un terreno fresco e fertile lo si riconosce dalla lussureggiante vegetazione erbacea in cui predominano le felci che ti possono arrivare fino alla coscia.

Immaginate cosa vuol dire lavorare in un ambiente così.

Oltre a ciò mi è stato chiesto di tagliare cespugli e alberi cresciuti nella sede di una vecchia strada forestale: erano così fitti che la strada di fatto era impraticabile.

Fra i due incarichi, detti la precedenza alla strada che si inerpicava sul versante della montagna.

Lavorai duro per giorni interi.

Quando facevo una pausa per andare a recuperare la tanica della benzina mi sorprendevo di quanta strada avessi fatto. Inesorabilmente, metro dopo metro, avanzavo. Percepivo un forte simbolismo in questa attività.

Dopo un paio di giorni provai a percorrere il nuovo tratto di strada con il mio Quad o, come dicono gli angofoni, ATV (All terrain veicle).

Fu un grave errore, il veicolo “per tutti i terreni” in realtà è un veicolo per quasi tutti i terreni. Se percorrete una strada in salita invasa da rami e polloni tagliati rischiate di ribaltarvi.

Quando vidi che la ruota sinistra non aderiva più alla strada e io ero fortemente sbilanciato sulla sella cominciai a sudare dalla tensione. Facendo marcia indietro e pregando di non far cazzate, riuscii a recuperare il mezzo e fare dietro front.

Se mi succedeva qualcosa ero a venti minuti di distanza dalla prima casa. Non vedendomi arrivare Marcus and family avrebbero dato l'allarme solo dopo le sette di sera. E io avrei atteso ferito o con qualche osso fratturato magari con il quad rovesciato addosso.

Strizzai la maglietta fradicia e sgomberai la strada da tutti i rami. Fu un lavoro di ore. Fatto ciò, non contento, tagliai raso tutti gli spuntoni che ancora spuntavano insidiosi.

Ora ero proprio curioso di scoprire dove conducesse la strada. Avevo faticato per centinaia di metri. Le strade forestali in realtà non vengono costruite allo scopo di collegare due località bensì quella di fornire un accesso al bosco ai mezzi meccanizzati per le operazioni di utilizzazioni e per l'antincendio boschivo.

Mi ci volle un altro giorno di lavoro per finire. La strada arrivava ad una radura circolare piuttosto insignificante. Le solite betulle, le solite piantine di mirtillo, qualche pietra affiorante coperta di licheni e un vecchio tronco schiantato.

Pensai, beh che cosa ti aspettavi, di arrivare ad una miniera, ad una casa abbandonata, ad un villaggio sperduto fra i boschi? No, una semplice radura.

Sorrisi della mia ingenuità e sedetti sul tronco a riposare.

Fu allora che aprii gli occhi e mi resi conto che da lì si la vista spaziava sul magnifico panorama della vallata. Vedevo le montagne circostanti, il profilo di ogni monte, i graffi rocciosi scavati dai ruscelli, le distese dei boschi, il verde grigio dei pini e quello più scuro degli abeti. Vedevo il fiume Malselva scorrere placido come un serpentello silenzioso, vedevo le anse sabbiose, l'acqua trasparente e fredda e poi, sparse, le casette di legno degli abitanti.

Mi colse un senso quasi di euforia.

Pensai, dannazione non mi manca niente. Ed era vero. Ero in perfetta salute, avevo un lavoro, vestiti, cibo nessuno mi perseguitava, sedevo su un tronco per una pausa che io avevo deciso e mi godevo un panorama magnifico, e cosa ancora più sorprendente, ero l'unico uomo al mondo che in quel momento godeva di una simile vista da lì.

Pensai, guarda quanta bellezza.

Chissà perché, come molti, solitamente me ne vado in giro appesantito da un fardello di frustrazioni, indaffarato nel compito sciocco e inutile di accontentare le aspettative della gente.

Vi deludo volentieri, ragazzi, lasciatemi fra le montagne e arrangiatevi.

24 agosto 2010

Bardufoss

E' il villaggio più popoloso della vallata, vi è infatti l'aeroporto e la base militare. Qualche settimana fa, in esclusiva per voi, sono andato a visitarlo.

Bardufoss è circondato da montagne e da boschi verdeggianti e lo si raggiunge percorrendo strade scarsamente trafficate.
Qui l'ora di punta consiste in sei macchine in fila.

La struttura è diversissima dai nostri paeselli di campagna o di montagna. Non esiste la piazza principale con la chiesa, il municipio e il bar sport. Quella che potrebbe essere la piazza è un'area asfaltata con funzione di parcheggio che dà accesso alla zona commerciale.

C'è un grande supermercato che durante l'inverno funge anche da centro di aggregazione giovanile (immaginate con quali effetti sociali), un negozio di articoli sportivi, una libreria i cui libri esposti in vetrina hanno le copertine scolorite dal sole, un negozio di casalinghi, la centrale della polizia e alcuni uffici pubblici.

Quando visitai Bardufoss era domenica pomeriggio e il paese si presentava pressoché deserto.

I norvegesi  durante i week end hanno l'abitudine di raggiungere i loro cottage sulle rive dei laghi per dedicarsi al relax, alla pesca e all'alcol. Chi non possiede un cottage è senz'altro fornito di roulotte o camper per potersi dilettare nei medesimi svaghi.

Quella domenica quindi passeggiavo solo. Mi imbattei in quelli che potremmo definire locali pubblici. Uno era un club “Artic club”, discoteca e topless bar. L'entrata consisteva in un'ampia porta di legno da cui si intravvedevano delle scale. Vicino c'era una bacheca con il programma delle prossime settimane. A pelle, mi pareva un locale da soldati dove per un'energica salassata di stipendio potevi ubriacarti in un locale assordante e sovraffollato in compagnia di soldati marci intravvedendo qua e là tette di ragazze russe. 

Passai oltre.

Vidi poi quello che poteva essere un baretto. Fuori c'era un unico tavolo di plastica e gli avventori, tre tizi guardinghi, parevano tutto eccetto norvegesi.

Diedi un'occhiata al "Kiosk" locale che un negozio tipico del nord Europa. Nella filosofia assomiglia ad un piccolo autogrill. Si possono infatti comprare giornali e riviste, bevande, cibo confezionato ed altri oggetti come fazzoletti, occhiali da sole, souvenir ecc. Anche il kiosk era chiuso.

Non c'era altro.

Mi addentrai allora nella zona residenziale. Oltre alla strada carrabile, gli abitanti di Bardufoss possiedono una pista ciclabile in ottimo stato e il marciapiede. Strada, pista ciclabile e marciapiede erano pulitissimi.

Nei tre o quattro chilometri di passeggiata che feci incontrai (standoci attento) tre o quattro mozziconi di sigaretta. 

Quanto alle case, la maggioranza erano villette di legno di uno o due piani. I colori delle case nel nord della Norvegia sono verniciate esternamente sempre con le stesse tinte. Possono essere: crema, giallo ocra, violetto o rosso. 

Ogni casa era circondata da un piccolo giardino perfettamente curato con il praticello all'inglese e vasi di fiori. Qualche volta si scadeva nel kitsch scegliendo come decorazioni miniature di carretti, casette degli gnomi o, orribile, statue dei sette nani.

Insomma le case trasmettevano un'immagine di grande serenità, sembrano le abitazioni di famigliole felici e contente del proprio stato. Passeggiando per la zona residenziale ho incontrato qualche sportivo che faceva jogging e un paio di ragazzine biondissime che se ne andavano in montain bike confidandosi i soliti segreti di teenager.

Riconobbi la scuola, l'asilo e un centro sportivo. Poi finì il paese e ricominciarono i boschi.

Andresti a vivere a Bardufoss?