30 giugno 2010

A te piaceva Ingrid

Il nome è inventato che mi piaceva invece è vero. E a chi non sarebbe piaciuta? Sopratutto se vivi in una casa in mezzo al bosco e Ingrid è la figlia del tuo vicino. Sopratutto se hai ventidue anni.

Questa che vi racconto è una storia vecchia, risale al 2002. Credo vi possa piacere perché ha un che di tragicomico. Tutte le storie migliori sono drammatiche.
Prendete il cinema. Prendete la letteratura. Prendete la musica.
Le storie happy end invece vanno bene in tv in prima serata per le famiglie, vanno bene per i popcorn e la Coca Cola, il giorno dopo si sono già dimenticate. Che qualcuno mi racconti ora la trama di “Herby il Maggiolino matto”.

Pare che all'umanità, me compreso, piaccia prenderlo in quel posto però in maniera grandiosa creandoci un contesto epico e drammatico con tanto di colonna sonora e primi piani sui nostri volti sofferenti perché la gente possa meglio compiangerci.
Io andavo davvero forte in questa pratica negli anni novanta.

Questa che vi racconto non è nemmeno una delle storie più tragiche che mi siano capitate, solo che ha lo sfondo norvegese. E in questo blog si parla principalmente di Norvegia.

La mia prima esperienza norvegese risale dunque all'estate 2002.
Alloggiavo presso la casa di una signora (amica di mia madre) che viveva ad Oslo. Vicino a lei vive suo fratello con la moglie e cinque figli. All'epoca del mio arrivo papà, mamma e figli maschi erano in vacanza in Portogallo.


Mi accolsero le due ragazze: una biondina cicciotella e l'altra, Ingrid, un'adorabile morettina fatta di aggraziatissime curve e una faccina pulita da elfo. Le due mi fecero vedere quella che sarebbe diventata per qualche mese la mia casa e poi anche quella dove vivevano loro. Erano davvero gentili e ben disposte.

Nella mia ignoranza riecheggiavano tutti quei racconti unti dei compagni di classe che descrivevano la scandinavia come l'isola delle sirene. Non ne trovi una brutta, oh! non ne trovi una brutta! Te la danno, te la danno come il pane. E avanti.

Belle ragazze, dunque, belle e facili. E Ingrid che cos'era? Una bella ragazza che ha vissuto in un paesino di poche anime, di gusti semplici perché non educata alle arti e alla filosofia, che avrebbe potuto vedere in me la svolta della sua vita. Eh sì, perché io studiavo nella prestigiosa Università degli Studi di Padova, ero stato volontario del USDA Forest Service americano (la cosa, se ben raccontata, si poteva spacciare come “ho lavorato per il governo degli Stati Uniti”), andavo forte con la bicicletta da corsa, una rivista aveva pubblicato alcuni miei racconti. E poi avevo una felpa e dei pantaloni nuovi.

Mi ero quindi ripromesso alla prima occasione di farglielo presente alla bella campagnola nordica così non si innamorava, si stordiva proprio. E poi facile com'era come tutte le nordiche puoi immaginarti il resto.

Specifico che le due sorelle dopo il meraviglioso benvenuto non sono più venute a farmi visita, però nella loro casa c'era un computer connesso ad internet.
Così un sabato, con la scusa di mandare una mail, ho cominciato quella che apparentemente sarebbe dovuta essere un'innocente conversazione per impressionarla. (Continua)

29 giugno 2010

Elogio al lavoro manuale


Se dovessi consigliare un adolescente esperienze utili a diventare un adulto non troppo complessato suggerirei oltre una giusta quantità di sesso, droga and Rock'n'Roll di vivere per un tempo all'estero e di praticare qualche lavoro manuale. Entrambe le cose si possono benissimo fare durante o appena terminati gli studi. Sul perché sia auspicabile vivere per un po' all'estero in sintesi è scritto sul proverbio africano in alto a destra.
Oggi, dopo una settimana di duro lavoro in bosco preferisco invece scrivere un “Elogio al lavoro manuale”. Visto il mio caso specifico si tratta di lavoro manuale svolto all'aperto.

Perché è un elogio?

· Perché ci si relaziona con il clima. Durante l'inverno si trema e si suda in estate. Si impara così a godere di una giornata di sole in gennaio e di una nuvoletta a luglio. Si guarda il cielo, si studia il movimento delle nuvole. Al rientro a casa si gode, letteralmente, bevendo un bicchiere di latte freddo d'estate o beneficiando di una doccia bollente d'inverno. Dopo qualche mese si scopre che non è un problema se fa freddo o se fa caldo, un ufficio climatizzato rimane una gabbia tutti i giorni.



· Perché ci si relaziona con l'ambiente. Le mani si sporcano di terra, di erba di segatura. Le mani toccano centinaia di elementi diversi, la sensazione tattile della corteccia di un albero, di una foglia a primavera, del passare la mano sull'erba o immergerla nell'acqua. Si percepiscono gli odori dei fiori, i canti degli uccelli, il ronzio degli insetti, oppure il silenzio dei mesi invernali.



· Perché ci si relaziona con il proprio corpo. Il corpo comincia a dialogare con voi. Lancia messaggi. “Ho fame”, “Sono stanco ma ce la posso fare”, “Piantala lì che non ne ho più”,“Ho la schiena indolenzita”, “Che figata questa brezza sulle braccia”, “Che goduria il sole primaverile in faccia”. Generalmente si torna a casa stanchi, predisposti al relax e a farsi una buona dormita. Ma è una stanchezza diversa di chi ha convissuto otto o più ore con un telefono che squilla, fax e e-mail.



· Perché ci si relaziona con i propri pensieri. Ci sono alcuni lavori manuali che non hanno bisogno di un'elevata concentrazione, come l'irrigazione o la raccolta dei rifiuti in un parco. Durante quelle incombenze si può dialogare con se stessi scoprendosi filosofi, poeti, critici sportivi, attenti osservatori dei comportamenti umani, abili naturalisti, sofisticati matematici e via dicendo.



· Perché ci si ingegna. A differenza di un lavoro di fabbrica altamente standardizzato, il lavoro manuale all'aperto presenta quasi quotidianamente piccole problematiche o imprevisti ai quali bisogna far fronte con ciò che si ha (persone, esperienza, attrezzi ecc.). Si diventa molto scaltri.



· Perché il modo di comunicare diventa semplice ed efficace. Differentemente da figure professionali cresciute in ambiente asettico fra manuali e codici, per chi pratica un lavoro manuale, una superficie piana di materiale ligneo o plastico con funzioni operative, gestionali e strategiche sarà semplicemente un tavolo. Tutti lo capiranno quando parla e avranno la sensazione che i suoi argomenti siano reali e veri.



· Perché spalle ampie e muscoli tonici sono ampiamente apprezzati. Le ragazze mi smentiscano...



· Perché ci si avvicina alla realtà. La società moderna interpreta la realtà spesso in maniera distorta alimentando le nevrosi ovvero tutti quei problemi percepiti ma non reali con le conseguenze pratiche che ci si immagina. Toccare la realtà, la materia, le cose, aiuta ad intenderle per quello che sono.

Cesare Pavese aveva un metodo empirico per capire come butta con la nostra esistenza.
Diceva che se abbiamo la sensazione che le giornate ci passino in fretta e gli anni lentamente la vita ci sorride, viceversa il contrario. Praticando il lavoro manuale spesso mi sono trovato nel primo caso.

24 giugno 2010

A tavola!

Avete conosciuto un “mammocentrico”? Un mammocentrico è una persona che definisce “normali” solo le sue abitudini e quelle della sua famiglia. Riguardo il cibo tutto ciò che si discosta dalla cucina della mamma non è buono.



Se te li porti in giro sono delle palle al piede perché il mondo ignora le loro abitudini. E loro frignano e frignano alla ricerca disperata dei sapori del loro nido.
All'interno di questo blog ogni tanto cercherò di scuotere i mammocentrici e tutti quelli sotto gli ottant'anni hanno l'illusione di raccogliere la verità assoluta e hanno chiuso le porte al mondo.


In generale riguardo al mangiare sono convinto che ogni nazione, regione, città, villaggio, famiglia possa offrirti allo stesso tempo piatti gustosi e schifezze.


Italia inclusa anche se è obiettivamente è una delle nazioni che possiede una solida cultura gastronomica sia per qualità, sia per varietà di piatti e bevande.


Nel mondo siamo rinomati per pasta, pizza e ravioli però il grande pubblico difficilmente chiederà il bis per carne di cavallo (immaginati la reazione di un inglese), coniglio (alcuni lo considerano troppo simile al topo), rane, lumache, formaggio sardo con i vermi, grappa bianca, polenta, cotechino, mostarda, caffè espresso, salsa pearà (spiega come è fatta nella sua ricetta originale).


Il nostro gradimento di una pietanza dipende sostanzialmente dall'abilità del cuoco e della nostra abitudine ad un sapore.


Se all'estero ci approcciassimo al cibo come senza fare confronti potremmo scoprire piatti che inaspettatamente ci piacciono, diversamente tutto ci farà schifo.


Qui la gioventù si nutre di hamburger e bibite gasate consumati in fretta seduti sul divano consultando facebook o guardando la televisione.


Io fortunatamente vivo presso una famiglia che ha abitudini più tradizionali. Durante la settimana più o meno si mangia così:

Colazione: La mattina quando ci si alza. Notiziario alla radio e giornale locale. Odore di caffè. Si beve caffè lungo (non dà la carica come il nostro espresso però scalda), aggiungendo, se si vuole, del latte o della panna da caffè. Si mangiano fette di pane imburrate accompagnandole a scelta con formaggio, salume, marmellata, paté di fegato, crema. Si può bere latte freddo e succo di frutta. Frutta fresca per chi lo desidera.

Pranzo: Dalle 12.30 a 14.00 dipendendo dalle abitudini. In genere è piuttosto semplice. Fette di pane imburrate con formaggi e salume. Frutta.

Cena: Dalle 17.30 a 18.30 dipendendo dalle abitudini. Di solito si cucina un qualcosa di caldo. Pesce (di solito salmone) o carne con verdure crude o cotte. Alcune famiglie mangiano il porrige che è una specie di crema di cereali con un sughetto dolce. A me però non piace tanto, ha un sapore molto forte.

Spuntino: verso le 21.30 ci si fa uno spuntino con qualcosa di stuzzicante trovato in frigo.

Vi aggiornerò su eventuali piatti tipici che avrò la fortuna di assaggiare.

22 giugno 2010

Il giorno senza fine

Quando arrivi in Norvegia dovresti saperlo perché lo hai letto senz'altro su su Wikipedia o su Focus nel caso ti interessi di scienza dal barbiere o dal dentista.


Lo sai però non te lo aspetti.







Arrivi al tuo alloggio dopo due aerei e un autobus, metti giù i bagagli, ti fai una doccia, mangi qualcosa, chiacchieri del più e del meno. Un bicchiere di vino per festeggiare. Chissà perché all'estero il vino ha un sapore così differente.



Ti senti in forma nonostante il viaggio, fuori c'è luce e ti viene un dubbio.


Che ore sono? Le 23.30. Già, torna se sono arrivato alle 21.00. Adesso però sei in cima al mondo e quando passi il parallelo del circolo polare artico sei nel centro della grande tagadà. Il sole ci gira intorno.

Il famoso sole di mezzanotte.


Luce quindi, una tranquilla luce tardo pomeridiana ed è quasi mezzanotte. Sei stanco però la luce ti confonde. Ad ogni modo sei adulto e cazzuto e non ti perdi in tanti ooooh!
Ti schiaffi a letto. In Norvegia non esistono persiane né scuri. Se vuoi un po' di oscurità puoi tirare le tende. In camera però ci si vede ancora. Allora chiudi gli occhi. Che altro puoi fare?


Chiudi gli occhi e dormi. Tutto bene eccetto che ti svegli alle 3.30 quando sorge il sole.
Ho notato che non ci sono galli da queste parti e nemmeno campane. Luce e silenzio. Il cellulare dice che è presto e ti riaddormenti.

Un giorno magari esci di casa ad esplorare questa strana notte Norvegese.


Ti rendi conto che è notte perché non c'è traffico (non ne trovi molto nemmeno di giorno a dire il vero). I paesetti diventano paesetti fantasma. Nel bosco si forma un'inquietante nebbiolina.
Camminare nella notte norvegese è stessa sensazione che proverà l'ultimo uomo sulla Terra.

Due gocce di pioggia

Vi chiederete come si preannuncia una giornata schifosa per chi va a lavorare in bosco. Vi rispondo subito: dal ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre quando voi siete ancora in armonia perfetta, in un tepore sublime nel vostro letto. Qui in Norvegia puo' piovere anche per tre giorni di seguito...


Sabato sentendo la pioggia ho deciso di prendermela tranquilla. Chi me lo fa fare di andarmi a prendere freddo. Essendo solo, i padroni di casa sono in Spagna, devo anche prendermi cura della casa. La signora la vuole trovare pulita. E vuole tutti i suoi fiori vivi.


Ecco, potevo approfittarne per far pulizia. Scopa un po', pulisci il bagno, dai un'occhiata, butta l'immondizia. Poi mi era venuta voglia di scoprire come si apriva un blog e sono andato su internet ad informarmi. Verso le undici arriva Karl (il nome è inventato).


Karl è un istruttore forestale. Mi ha spiegato che dopo vent'anni di lavoro in bosco ha deciso di prendersi gli appositi brevetti da istruttore. Vent'anni in bosco glieli leggi dalle mani. Dita grosse, unghie coriacee. Quando affila una catena o un disco tagliente beh, doveste vedere quella catena o quel disco. Penetrano nel legno come un bisturi. E soprattutto insegna bene. A me ha insegnato l'uso del decespugliatore forestale. Anche l'esercito a volte lo chiama per addestrare i soldati all'uso della motosega.
Parla inglese lentamente ma in maniera corretta. Scherza ogni tanto, alla maniera scandinava.


E sopratutto non se la tira.


Era venuto ad avvisarmi che doveva scendere in cantina a prendere dei pennelli. (Attualmente sta ristrutturando una casa e qui le case sono di legno).
Mi chiede se mi sono preso il giorno di riposo e io gli rispondo che aspetto che smetta di piovere che probabilmente sarei andato in bosco dopo pranzo.

Pensavo che mi dicesse di essere prudente, che la pioggia rende scivolosi i crinali. Invece lui, con la sua voce tranquilla mi ha chiesto se avessi un impermeabile e che la pioggia si sente di più in casa che fuori.

Ho fatto come diceva Karl.


Ho preso l'impermeabile e sono andato a lavorare sotto la pioggia. Con il casco, le cuffie e la radio accesa, mi si bagnavano solo le mani.
Chissà perché ci spaventiamo della pioggia. Perché quando piove si bloccano le città? Centinaia di macchine sulle strade per la paura di bagnarsi.


Aveva ragione Karl, la pioggia si sente di più rimanendo in casa.

21 giugno 2010

Forestry Fashon


Chiudete gli occhi ed immaginate un boscaiolo professionista. Concentratevi sul suo abbigliamento.

Se intuisco la vostra idea è così conciato: scarponi di cuoio, calze di lana, pantaloni di fustagno, camicia di flanella con le maniche arrotolate, cappellino di lana.

Scusate il trabocchetto ma se lo immaginate così siete decisamente fuori strada. E' come se un moderno senatore entrasse in parlamento con la toga e le scarpe rosse.
E' vero, è vero girando per le montagne o per le campagne si incontrano persone che lavorano con la motosega vestite così ma in genere non si tratta di professionisti, è semplicemente gente che sta aspettando il proprio incidente e lo vuole grandioso, roba da cronaca nera. Gente del vecchio stampo che se gli porgi un paio di guanti da lavoro ti guardano storto, quasi volessi mettere in dubbio la loro virilità figuriamoci se parli di pantaloni antitaglio o di elmetto protettivo.

20 giugno 2010

Volver

Ho un sogno ricorrente.

Non è proprio eccitante perché quando mi sveglio sento addosso un senso di stress e di frustrazione. E' un genere di sogno che ti rovina la domenica, non è per niente raccomandabile in un giorno feriale quando la notte serve a ricaricarti le pile.

Il sogno è questo. Per non si sa per quale ragione devo tornare all'università per un altro anno. Mi ritrovo così seduto in un banco di legno di un'aula a gradoni circondato dai vecchi compagni (che sono tutti stimati professionisti) ad ascoltare la lezione di un professore. L'atmosfera nel sogno è distesa, rilassata, ora siamo adulti e laureati. I professori non possono sfotterci. Ci danno del tu perché ci considerano quasi loro pari e non del “lei” per prenderci per il culo come all'epoca: “Venga lei alla lavagna che ha l'aria di non capirci molto”.
Insomma nel sogno seguo la lezione, prendo appunti, mi informo sulle novità dei miei compagni di corso rendendomi conto che da cinque anni non ci scambiamo piu'nemmeno un messaggio.