24 luglio 2010

Ti piace cacciare? III


Bene fin qui abbiamo parlato secondo razionalità che non vuol dire necessariamente che ho dispensato verità assolute. Se qualcuno avesse obiezioni potrebbe scrivere il suo punto di vista dando inizio a quello sport in intellettuale che si chiama disputa che, se giocato lealmente, potrebbe aiutare a comprendere meglio la questione in esame.


La maggioranza degli animalisti che ho conosciuto agiscono in un contesto chiuso di ignoranza e emotività.


Alle scuole superiori (ho frequentato l'agrario), durante una lezione di zootecnia si accese discussione fra il professore e una studentessa che se ne uscì fuori con la frase: “Beh, io se dovessi decidere di sparare ad un animale o a un uomo preferirei sparare ad un uomo”. Il professore rimase scioccato io meno perché sapevo che la ragazza non si rendeva conto della gravità della sua affermazione solo perché non aveva simulato con la mente la situazione. Voglio vedere se messa alle strette avrebbe sparato alla sua compagna di banco piuttosto che a una gallina.


All'università c'erano due ragazze che erano convinte che gli animali si potessero solo accarezzare e sognavano di aprire una fattoria didattica nella quale invecchiare conigli, caprette e muli.


Bene dicevo, accarezza un topo. Madonna che schifo! Insomma loro distinguevano gli animali belli da quelli brutti. Sembra una sciocchezza ma alcune campagne “progresso” pasquali prevedono l'affissione di manifesti pubblicitari nei quali vengono ritratti amabili agnellini tutto occhioni che dicono: “Non mangiarmi”. In giugno però non vedo manifesti con zanzare che dicono “Non schiacciarmi”.


Al quinto anno ho avuto una breve parentesi amorosa con una studentessa di veterinaria. Era molto simpatica e complessata. Andava a lezione con il cane e ricordo che il cane ha assistito a tutti i nostri incontri passionali. Ovviamente era animalista. Ricordo che un giorno mi chiese cosa ne pensassi di caccia e cacciatori e io timidamente espressi il mio pensiero. Quando ebbi finito si alzò, chiamò il cane e se ne andò.


Anni dopo durante un incontro di formazione del servizio civile un ragazzo stava spiegando che nel suo circolo c'era in ballo un progetto di recupero di vacche da latte a fine carriera. Anziché spedirle subito al macello venivano deviate ad un centro di ingrasso così da ottimizzare anche la produzione di carne e rendere quindi necessari meno capi di bestiame a parità di prodotto finale.
Questo progetto, che io reputai intelligente, scandalizzò una ragazza che indossava ampi pantaloni color viola tipo Aladino, e aveva i polsi ornati da chiassosi braccialetti colorati. Per lei era inaccettabile. Le mucche, diceva, a fine carriera vanno liberate.


Calò il silenzio e i presenti imbarazzati fissarono il soffitto.

Ti piace cacciare? II

Mi chiedo se sono un animalista.
Beh, in linea di principio non mi piace definirmi con i sostantivi che finiscono in “sta” perché descrivono linee di pensiero generalmente chiuse e irrazionali.
Io non caccio e non pesco semplicemente perché nessuno mi ha spinto a farlo e l'attrezzatura costa.
Penso che in linea generale possiamo servirci dei frutti e delle risorse del nostro pianeta nella maniera che preferiamo senza però esaurire le risorse stesse o creare impatti insostenibili per l'ambiente. Ciò per fini squisitamente antropocentrici. Al nostro pianeta infatti non importa essere depredato o avvelenato ma l'umanità che è legata indiscutibilmente all'ambiente potrebbe vivere amaramente.
Per me si può cacciare ma in maniera razionale. Ciò significa che animali esotici e autoctoni in pericolo di estinzione o le cui popolazioni sono in calo devono essere tutelati. Il leone preferisco saperlo vivo nella savana piuttosto che presente nel mio salotto in qualità di tappeto.
Riconosco anche il diritto degli animali di non soffrire. So per esempio che la legislazione italiana prevede che i bestiame sia ucciso solo previa perdita di conoscenza degli animali. I bovini prima di essere sgozzati vengono mandati in coma con un colpo di pistola meccanica in fronte e i suini con uno shock elettrico. Nel passato invece si faceva meno caso a questo aspetto. Il maiale veniva issato vivo per le gambe posteriori e fatto morire per dissanguamento fra grugniti e grida strazianti che davano tipicità e colore alle giornate campestri nel mese di novembre.
Si può fare a meno di certi sistemi di allevamento intensivo (i cui prodotti tra l'altro non sono di buona qualità), come l'allevamento in batteria e l'allevamento del vitello a carne bianca (allevato in totale anemia).
In Francia mi pare si possono comprare uccellini in gabbia solo a coppie per evitare che un solo soggetto soffra la solitudine. E' vietato picchiare gli animali e abbandonarli a se stessi. Ci sono delle forme di violenza che non appaiono tali.

Se il vostro cane è come un figlio per voi probabilmente sta soffrendo. Se il suo cibo costa più del vostro, se ha il permesso di dormire nella vostra camera da letto, di cagare in salotto, se viene spazzolato tutti i giorni, se anziché castigarlo si ragiona con lui, se ogni suo capriccio diventa un ordine per voi allora il vostro cane sta soffrendo moltissimo.
Tornando alla caccia, credo che una volta risolto il problema della sostenibilità non credo se ne sollevi uno etico. Per l'animale selvatico noi siamo una minaccia esattamente come tutti gli altri predatori naturali, gli infortuni, le malattie, le carestie, la siccità, i parassiti.

L'animale non distingue, accetta e obbedisce alla legge di natura che favorisce il più forte per un determinato ambiente.
Se vivessimo secondo natura probabilmente anche noi potremmo essere predati e in quel caso sarebbe sciocco mandare ambasciate ai lupi invitandoli a lasciarci in pace come si pensa facciano gli animali, per mezzo degli animalisti. (Continua...)

Ti piace cacciare?


Sto pensando alla domanda più frequente che facciamo in Italia per rompere il ghiaccio quando ci troviamo di fronte uno sconosciuto. Forse credo sia riguardo ai luoghi di svago preferiti così la si può etichettare fin da subito.

“Mi piace andare in discoteca” - Truzzo
“Vado allo stadio a vedere l'Hellas” - Teppista.
“Vado in piazza a bere e ballare” - Comunista
“Vado nei localini in” - Cagone
“Vado a feste a casa di amici” - Zuzzurellone, forse anche scroccone.

In Norvegia, specie qui al nord la domanda inevitabile è:
“Vai a caccia? Ti piace pescare?” Se si risponde di sì allora ci si comincia a scambiare storie di caccia e di pesca ricche di aneddoti gustosi.

In Italia, specie negli ambienti che frequento, la domanda “Ti piace andare a caccia?” Risuona come: “Ti piace adorare il demonio?”

Qui d'estate i fiumi pullulano di salmoni e in settembre si apre la stagione delle alci. In ogni capanno degli attrezzi norvegese c'è un equipaggiamento completo per la pesca e in casa un armadio chiuso a chiave contenente le carabine.

I norvegesi cacciano dai tempi dei vichinghi. Una volta ho domandato qual'è la filosofia che guida il prelievo della fauna. Mi è stato risposto che per i norvegesi l'arte venatoria è uno svago non una necessità perché la carne si può trovare facilmente al supermercato. Però in queste vallate è considerato il massimo il fatto di potersi sedere su una roccia e contemplare la natura pescando. Questo elemento è presente anche nella cinematografia scandinava. La classica trama di un film è quella di un uomo solitario che vaga per i boschi, pesca e ritrova se stesso. Non sono film con grandi battute o con dialoghi brillanti bensì opere a ritmo lento alla Ermanno Olmi e con una fotografia eccellente.

I prelievi venatori vengono compiuti in maniera tale da non compromettere l'equilibrio delle popolazioni. Ad esempio è concesso pescare l'equivalente di un solo salmone grande per persona al giorno ed è vietato pescare da mezzanotte alle sei di mattina per dare un'ulteriore possibilità ai pesci di riprodursi e completare il ciclo vitale.

Non ci sono grandi controlli perché la gente ha tutto l'interesse nel rispettare le regole perché vuole pescare e andare a caccia tutti gli anni contando su una fauna sempre abbondante.

Animalisti? Sì, qualcuno, giù a Oslo, dove non ci sono animali. (Continua...)

E' questione di come si cammina II


Il capo raccoglierà la squadra portandola sul luogo del lavoro. La spiegazione del lavoro è un momento sacro. L'80% del successo dipende dal capire bene cosa si vuole da noi. I liberi professionisti si fanno firmare addirittura una carta dove hanno riassunto l'incarico del committente per essere certi di averlo capito bene.
E' dunque un momento sacro, non si scherza, non si chiacchiera, non ci si perde a guardare il paesaggio.


Infine si comincia. Metteteci impegno anche per i lavori apparentemente sciocchi, senza fretta ma senza perdersi. Si fa pausa solo quando il capo ne propone una e si riprende non appena egli si rimette al lavoro. Se lavorate soli calcolate circa quindici minuti ogni due o tre ore a seconda della fatica e delle condizioni climatiche.


Se darete del vostro meglio lo si noterà subito anche se le prime volte il risultato sarà ammaccato da errori e pasticci di varia natura.
Se succede, no panic, informate il capo (senza cacciar palle) di ciò che è successo e apprendete dall'errore.


L'ultima cosa che mi sento di dire è attenzione a come si cammina. Esatto, il passo con cui ci si muove rivela molti aspetti riguardo alla nostra motivazione.
Descrivervi il passo ideale è difficile. Ci provo. Bisogna che il passo sia elastico, deciso, rapido ma senza evidenziare una fretta ingiustificata. Deve essere un passo energico e positivo.


Immaginate di uscire di casa per andare a trovare una ragazza intrigante o per andare a comprare l'ultimo disco della vostra band preferita. Visualizzate la situazione. Come state camminando?


Probabilmente non strascicando i piedi anche se è un passo da dieci punti in più all'interno della comunità di punk giocolieri e ubriaconi che popolano le principali piazze venete.


Per nessuna ragione il vostro capo deve fermarsi ad aspettarvi per il distacco che vi ha dato dovuto al fatto che camminavate, come dire, adagio.


Di frequente ho aspettato squadre di volontari che avevo distaccato anche di cinquanta metri camminando normalmente. Arrivavano rilassatissimi chiacchierando fra loro come se nulla fosse.
Nemmeno loro sono finiti nell'albo d'oro.

E' questione di come si cammina

La settimana prossima qui si parlerà di palanche, signori! Verrà il responsabile della ditta per la quale lavoro e insieme quantificheremo il lavoro fin qui svolto.
La questione economica quindi sarà argomento dei prossimi post.
Oggi vorrei dare delle dritte su come fare buona impressione quando ci si presenta in un nuovo ambiente lavorativo, nello specifico quando si comincia un lavoro senza avere particolare esperienza. Una situazione tipica dei giovincelli del servizio civile, dei tirocinanti e di tutti quelli al primo impiego.

Qualcuno si chiederà se sono abbastanza referenziato a dar lezioni su questo tema. Chissà! Però per diversi anni ho fatto il coordinatore di volontari incontrando ed introducendo al lavoro una cinquantina di giovani provenienti da tutto il mondo. Quindi ci proviamo!

Amara premessa. Non è che seguendo i miei consigli avrete successo al 100%. C'è sempre la possibilità di stare sulle palle a qualcuno anche quando con anima e corpo state trasmettendo segnali di onestà e buona volontà. Certo quel qualcuno sarà certamente un complessato, un sospettoso cronico, uno che va avanti solo a pregiudizi, insomma se vi imbattete in un testa di cazzo c'è poco da fare.

Quasi sempre il primo contatto è una mail o una telefonata. Siccome, abbiamo detto, non avete esperienza puntate sulla motivazione. Il messaggio che deve passare è “Mi piacerebbe davvero tanto collaborare a questo progetto perché mi è immensamente utile per la mia crescita professionale”. Di solito si manda anche il curriculum vitae e in internet sono stati versati fiumi di inchiostro in siti specializzati che insegnano tutti i trucchi per scriverlo bene. C'è sostanzialmente un solo grosso errore che non bisogna fare in questa fase: farsi presentare dalla mamma o dal papà.

Un vecchio detto recita: “Chi vuole fa, chi non vuole manda.” Se avete bisogno di aiuto morale non c'è problema, ma al telefono deve essere la vostra voce quella parla le comunicazioni scritte devono concludersi con la vostra firma.
Bravi siete stati presi! Se c'era un colloquio di selezione (per il quale vi siete preparati leggendo qualcosa in internet, o seguendo i consigli di un amico) lo avete superato, avete sbrigato l'eventuale burocrazia e ora siete a tu per tu con il vostro capo il quale vi spiega l'attività che andrete a compiere.

Se il capo è una persona competente vi parlerà del progetto seguendo questo schema:

· Obiettivi: Migliorare la fruibilità di un'area verde, mantenere un parco ecc.
· Azioni: taglio dell'erba, raccolta dei rifiuti, messa a dimora degli alberi
· Composizione squadra di lavoro: con eventuale presentazione agli altri membri
· Macchine e attrezzi: descrizione dei principali attrezzi con i quali si lavorerà
· Orario di lavoro: quando si comincia, quando si finisce, giorni di riposo ecc.
· Retribuzione: quando c'è.

E' bene che facciate capire che siete interessati sopratutto ai primi due punti del discorso. Se avete dubbi o domande inerenti potete farle. Anche qua siate naturali, non serve atteggiarsi o dimostrare chissà cosa.

C'è un solo errore che non bisogna fare.

Mostrare interesse solo ai giorni di riposo o ai soldi. Sembra una sciocchezza ma più di una volta qualche volontario mi ha interrotto mentre spiegavo gli “obiettivi” per aver delucidazioni sui giorni di riposo. C'era anche chi si spingeva oltre e, senza sapere cosa doveva andare a fare, già era tutto preso a dimostrare che non gliene fregava niente macchinando complicati calcoli del tipo: “Ma se io ho un giorno di riposo posso spezzarlo in due mezze giornate, una attaccarla al sabato dove lavoro solo quattro ore e un'altra il lunedì così vengo solo il pomerggio...” Si trattava di gente anche laureata e che parlava di se stessa come di persona motivata e capace. I loro nomi però non sono stati riportati nell'albo d'oro.

I giorni di riposo solo le ultime cose da trattare.
Al lavoro si arriva puntuali vestiti adeguatamente. Se lavorate in un parco compratevi un paio di braghe da lavoro (costano 15-20 euro) e un paio di guanti. (Ve li darà il capo ma se vi vede arrivare con i vostri vi penserà più “ubicati” nel contesto). Dico questo perché un anno ho avuto volontari del servizio civile che rastrellavano le foglie autunnali con la giacca di piumino del sabato sera e ai piedi un bel paio di Nike bianche. Gli sforzi per non sporcarsi erano maggiori di quelli necessari a svolgere un buon lavoro. Ho avuto anche volontarie che intendevano usare una falciatrice a piedi nudi. (Continua...)

13 luglio 2010

Skål II


In Italia in occasioni del genere c'è sempre qualche distinto che grida al festeggiato “Discorso! Discorso!”. Di solito viene gentilmente mandato a cagare. Se invece a pretendere il discorso è un coro, il festeggiato imbarazzato balbetta un breve ringraziamento e invita a continuare a bere e a far bagordi.

Qui nessuno grida “discorso” però i discorsi si fanno sul serio. Un commensale funge da maestro di cerimonia ed invita chi ne ha fatto richiesta ad intervenire. Il primo discorso lo pronunciò Marcus stesso illustrando la provenienza degli ospiti e ringraziandoli della loro presenza.

Poco dopo fu il turno della moglie che lesse il suo discorso dattiloscritto di quattro pagine (15 minuti) nel quale raccontava il favoloso periodo vissuto insieme a Marcus dagli anni sessanta all'attualità.

Il discorsi terminavano sempre con un brindisi:

“Skål” Dicevano gli invitati alzando il bicchiere. Dopo fu la volta del figlio con i punti del discorso scritti su post-it, poi toccò alla cugina poi a parlare furono una decina di amici. Marcus e gli ospiti ascoltavano in silenzio senza interrompere. I discorsi erano omaggi al festeggiato commoventi ed ironici. Gli invitati ridevano alle battute. Marcus era emozionato a sentire tanto affetto e tanti aneddoti della sua vita. Lo si vedeva dall'espressione del suo volto. Si commosse quando fu data lettura di una lettera inviata da un suo amico ottantaquattrenne, un prete tedesco, che non aveva potuto raggiungerlo per motivi di salute.

“Skål”. Poi fu il turno di un ufficiale dell'esercito che gli appuntò una medaglia al valore per i meriti sul campo durante il Libano.

“Skål”. Poi un duo che con la chitarra lo omaggiò di una canzone ironica sulla falsa nota di Alleluja di Leonard Cohen.

“Skål”. Poi i nipoti gli cantarono una canzone in coro ed eseguirono una coreografia di danza moderna.

“Skål”. Insomma l'evento era una via di mezzo fra una cena formale e la festa finale del campo scuola parrocchiale.


“Skål”. La vichinga mi chiese conoscessi lo snus. Sì che lo conoscevo. E' una porcheria che ci si ficca sotto le gengive che rilascia nicotina. Lei e suo fratello se lo erano passato sotto la tavola con movimenti esperti da narcotrafficanti. In molte nazioni fra cui l'Italia lo snus rientra fra le sostanze vietate per i devastanti danni da tumore che possono causare in bocca, qui invece è considerato un'alternativa cool alle sigarette.


Miss Norvegia si illuminò proponendomi di provarlo ma la vichinga la ammonì dicendo che le prime volte può causare vomito e svenimenti. Mi aggrappai a ciò che diceva la vichinga mentendo che sì sarebbe stata una gran figata ficcarsi quella roba in bocca ma non volevo rischiare di andare in “overdose” alla festa di compleanno di Marcus di fronte alla sua famiglia.

Alla pausa prima del dessert già gli invitati erano molto più sciolti. Andai al tavolo dei regali e vidi che la maggioranza dei doni erano bottiglie di vino. E la maggioranza delle bottiglie erano vini doc della provincia di Verona: Valpolicella e Amarone.
Pensate, nel mondo, quando qualcuno vuole fare un dono di qualità regala il nostro vino. Il nostro vino!

Mi agganciò la cugina di Marcus quella che negli anni sessanta lo aveva presentato alla futura moglie e nel 2002 aveva presentato me a lui in qualità di giovane volonteroso.

La cugina non aveva concluso molto nella vita almeno dal punto di vista borghese, niente figli, niente carriera, niente paccate di soldi. Aveva solo vissuto in tanti posti del mondo fra cui Francia, Italia, Stati Uniti, praticato lavori differenti, conosciuto gente, vissuto storie d'amore e accumulando aneddoti. Ora a sessantacinque anni suonati lavorava in un ufficio di Oslo come centralinista, viveva in un buco aspettando la pensione per potersi ritirare in Portogallo dove il costo della vita è più accettabile.

Nel 1999 lavorava come capogruppo per un'agenzia di viaggio americana mentre io facevo il mozzo su una nave da crociera fluviale e mia mamma la direttrice di bordo. Ci conoscemmo in quell'occasione e da lì cominciò tutto.

Non mi vedeva da undici anni ed era felicissima di incontrarmi perché la sua mano mi accarezzava il muscolo allenato del bicipite e della spalla. Era in compagnia di un amica che aveva una casa a Tromsø e che sarebbe stata felice di prestarmela se fossi andato da quelle parti. Mi ripeterono il concetto cinque o sei volte ridacchiando sotto l'effetto dell'alcol.


Poco dopo anche la moglie del figlio di Marcus tentò di mettermi a mio agio offrendomi le guance da baciare “come si fa in Italia”.

Intanto la figlia di Marcus, la dottoressa, piangeva lacrime di stizza in un angolo. Non so di preciso perché. Ricostruendo credo avesse preparato un Power Point con le foto della vita di suo padre ma a quanto pare o il maestro di cerimonia se ne era dimenticato o chissà che altro perché già un complessino si preparava a suonare e lei stava riponendo il portatile. Una bionda dalla faccia dura le andò incontro a lisciarle teneramente i capelli. Forse la convinse che si potevano vedere le foto ora. Così fu. Erano foto molto tenere e divertenti. A commentarle era Marcus stesso.

Dopo ci furono musica e superalcolici. I norvegesi si tuffarono nelle danze con un entusiasmo che non mi aspettavo che non ha niente da invidiare con quello messicano (professionisti della festa).

L'ultima ora la trascorsi con un tizio a parlare del più e del meno. Mi stava piuttosto attaccato e il mio inconscio protestava “Troppo vicino, ragazzo, troppo vicino”.

Tornammo a casa verso le tre di mattina. Diedi ospitalità alla vichinga e a suo fratello.

L'indomani andai a lavorare sotto la pioggia alle due del pomeriggio dopo aver pranzato e riposato. Uscii in punta di piedi perché i miei ospiti dormivano ancora.

Skål

Venerdì 9 luglio sono stato invitato alla festa di compleanno del mio capo Marcus.

La location era un ex caserma diventata poi set cinematografico per produzioni norvegesi e anche luogo per feste e cerimonie. Il salone era costruito con quell'architettura che armonizza gli spazi disponendo sapientemente il legno su pareti e soffitto bianchi creando quel genere di atmosfera da azienda giovane e dinamica che viene ritratta nei dépliant.

L'evento ebbe inizio alle 18.30 con l'aperitivo e la cena.

Le tavolate erano disposte a rastrello. Il posto d'onore spettava a Marcus e alla sua sposa. Ogni invitato aveva il suo il suo segnaposto a forma di cuore con il nome scritto a penna. Le tavolate erano ordinate secondo l'età degli invitati e si rispettava l'alternanza uomo – donna.
Prima di sederci consumammo un aperitivo in piedi che consisteva in un bicchiere (o più) di vino bianco spagnolo. L'atmosfera era formale. La maggioranza degli invitati erano parenti di Marcus e della moglie più qualche amico.


Io ero l'elemento esotico che non c'entrava niente ma stranamente non mi sentivo molto a disagio.


Passeggiavo sciolto per il salone, intercettando i pochi che conoscevo, scambiando con loro qualche parola. Nei tempi morti mi avvicinavo alle locandine dei film prodotti leggendo con interesse nomi di attori a me sconosciuti. Poi sorseggiavo il vino, guardavo il paesaggio e ciò che accadeva attorno a me. Indossavo una camicia a quadrettini azzurri, un paio di pantaloni verde scuro, scarponcini di cuoio lucido. Diversamente dagli altri non portavo né giacca né cravatta ma sapevo che dopo qualche bicchiere gli ospiti si sarebbero sbottonati.


E non mi sono sbagliato.

I ragazzi indossavano un completo giacca pantaloni nero con camicia bianca. L'abito vestiva bene come può vestire un lenzuolo. La giacca pendeva rivelando ampi spazi vuoti sui fianchi, i colli delle camicie erano troppo larghi, però i ragazzi non si sentivano a disagio anzi, così abbigliati giocavano a calcio nel parcheggio.


La moglie di Marcus, la first lady, indossava un abito che assomigliava ad una lunga blusa che lasciava scoperte gambe e cosce fino più o meno alle natiche. Quando la vidi in casa prima di partire distolsi lo sguardo timoroso di averla sorpresa senza gonna. Invece no, l'abito era proprio così e la rendeva sexy come può esserlo una signora di sessantacinque anni in minigonna.

Anche una ragazzina di circa tredici anni aveva un vestito sullo stesso stile e in quel caso sì sembrava che la fanciulla si fosse abbigliata solo con una maglietta. Passò la maggioranza del tempo ad accomodarselo.

Io ero seduto con la gioventù. Davanti a me due ragazze, una vichinga giunonica dalla pelle candida con una profonda scollatura che la obbligava periodicamente a darsi occhiate per verificare se tutto era a posto e una biondona da fischio con labbra rosso fuoco. Pensai, toh, miss Norvegia.

In mezzo alle ragazze sedevano i rispettivi fratelli. Quello di Miss Norvegia aveva una faccia con guance piene, capelli corti a spazzola e la camicia che gli tirava sui bottoni. Quello della valchiria era un adolescente biondo, sognatore e romantico che non disse praticamente niente per tutta la serata.

Conversammo naturalmente. Non mi fecero il terzo grado e nemmeno quel genere di domande di costume del tipo: “C'è ancora la Mafia?”, “E' vero che i ragazzi italiani pensano solo a scopare?”, “Mangiate spaghetti anche a colazione?” Niente di tutto questo: i norvegesi o sono discreti o non sono curiosi.


La vichinga mi disse che aveva fatto qualche viaggio in Italia, il paese le piaceva, le piaceva il gelato e la pizza. A Napoli però era stata derubata.
Il ladro semplicemente ha accostato la moto vicino alla macchina nella quale viaggiavano che era ferma in coda. Dopo ha aperto la portiera ricevendo i saluti del fratello della vichinga, si è impossessato della borsa appoggiata sul sedile ed è scappato.
La cosa buffa era la denuncia a gesti ai carabinieri napoletani che non parlavano inglese. A parte questo, come ho detto, l'Italia le piaceva.

Miss Norvegia invece non parlava molto. Notai qualche rotolino di ciccia tipico di chi non ha pratica di jogging attività qui necessaria per mantenersi belle vista l'alimentazione calorica.

La cena consisteva in un antipasto di salmone e caviale, uno stufato di renna con riso come piatto forte e dessert di gelato con sciroppo di cioccolato. Più tardi uno degli invitati mi spiegò che ai norvegesi non interessa molto il cibo raffinato bensì la compagnia. Quel menù, mi diceva, era tutto sommato un piatto povero.


I camerieri giravano per i tavoli con bottiglie di un rosso spagnolo che faceva tredici gradi riempiendo tutti i bicchieri vuoti. Quella sera ebbero un gran daffare. (continua...)

Biografia del Boss

E' impressionante l'abisso che può esserci fra gli anziani della stessa età riguardo allo stile di vita, alle loro capacità e alla loro maniera di rapportarsi con gli altri.

Ci sono dei bavosi che passano le giornate a vedere Rete 4 (e di conseguenza consegnano il
Paese al Berlusca), altri parcheggiati ad un tavolino con il bicchiere di bianco, altri che costruiscono orti abusivi fortificati con lamiere e filo spinato, altri vivono nel sospetto, altri nella malinconia, altri si abbandonano alla religione e alle analisi sociali di Radio Maria, altri battono il territorio alla ricerca di cantieri e scavi, altri seguono il proprio cane al parco armati di paletta e sacchetto.

Poi ci sono gli arzilli, quelli che ti sorprendono per la loro voglia di vivere e la loro serenità.
Marcus (nome di fantasia), il mio capo, è uno di quelli. Diciamo che è nato sotto una buona stella.


Dalle informazioni che ho avuto su di lui posso ricostruire la sua vita grossomodo così.

Marcus nasce nel 1940. La sua è una famiglia contadina. All'epoca la Norvegia non era un paese ricco come adesso e si sudava per la pagnotta. Ad ogni modo la fattoria nella quale crebbe era molto grande. Ancora adesso quando Marcus mi parla dei confini mi dice: “Da qui alla montagna” o “da qui al fiume”. Studiò all'accademia militare e partì come volontario in Libano negli anni '60. Tornato dalla guerra sua cugina gli presentò una sua amica molto attraente del Finmark (Lapponia) con la quale si sposò due anni dopo.


Lui era sostanzialmente un contadino.


Allevava vacche, coltivava i prati per il fieno e vendeva il legname dei suoi boschi. Era gioviale ed atletico. Giocava a calcio, andava a pesca e a caccia. Lavorava duro. Lei, Anne (nome di fantasia) era una hostess e viaggiava molto. Gli fece conoscere l'Europa. Quando ebbero i figli Anne cambiò lavoro e divenne insegnante di tedesco e inglese. Ebbero tre figli, un maschio e due gemelle.

Negli anni novanta Marcus entrò in politica con un partito di centro e fu deputato per circa dieci anni, due legislature. Si trasferì quindi ad Oslo. Non so se abbia avuto successo come politico oppure no. Anche se in Norvegia la politica è più trasparente e onesta e il sistema è meno marcio perché la stampa segue i fatti con molta attenzione e gli elettori di conseguenza castigano, Marcus mi confessò che nemmeno il parlamento norvegese è il luogo adatto per un idealista.
Intrallazzi e compromessi ci sono dappertutto, fa parte dell'amaro gioco del potere.

Dopo il parlamento, anziché ingombrare cariche direzionali di istituzioni pubbliche, come succede in Italia se ne tornò alla sua fattoria. Aprì insieme alla moglie e a un'amica un centro di accoglienza per giovani con problemi sociali. Suo figlio che aveva studiato scienze sociali fu il primo dipendente e poi passò a direttore.


Quando venni qui la prima volta il centro era una casetta che ospitava cinque ragazzi, ora è il punto di riferimento per le politiche sociali giovanili della vallata.
Il centro conta di una quindicina di case sparse nel territorio e una ventina di dipendenti fra educatori, amministrazione e addetti alle manutenzioni.

Adesso Marcus è un uomo sereno, circondato di affetti. I figli si sono realizzati (le gemelle sono dottoresse), si sono sposati e gli hanno dato complessivamente undici nipoti.

Io invece non so se potrò incoronare il sogno borghese della mia famiglia, per il momento ci sono ben lontano. I parenti mi chiamano: “Il manovale laureato” e scuotono la testa.

Marcus settantenne parla un buon inglese, va a caccia, a pesca, in bicicletta, si fa due o tre viaggi all'anno. Lavora in bosco, maneggia la motosega, segue le attività del centro di accoglienza, gioca con i nipoti, si legge il giornale in terrazza, va in moto, riceve ospiti, mangia con appetito e si beve la sua birretta quotidiana o il bicchiere di vino.

Ha fama di uomo socievole, generoso e giusto. Quando parla di soldi lo fa con tatto, quando incarica un lavoro lo fa con precisione dando tutti gli strumenti per portarlo a termine nel migliore dei modi.

Qui c'è qualcosa da imparare.

Punto della Situazione

Qualcuno di voi si sarà preoccupato non ricevendo aggiornamenti quotidiani sul blog. Rassicuratevi perché è tutto a posto; sono vivo e vegeto.

Ho soltanto cambiato casa.
Prima alloggiavo presso la casa del mio capo. Avevo una cameretta tutta per me e il permesso di utilizzare tutto quanto, quindi potevo pescare dal frigo, servirmi della lavatrice, dell'automobile e della connessione internet. In occasione del compleanno del mio capo (evento che vi descriverò nel dettaglio in un prossimo post) mi è stato proposto di traslocare in un appartamento indipendente per far posto agli ospiti che sarebbero giunti per l'occasione anche da lontano.


Naturalmente avrei dovuto pagare l'affitto del nuovo appartamento. Per me andava bene. In questo modo avrei perso sì dei soldi ma avrei anche avuto modo di sincerarmi se vivere in Norvegia a fare il boscaiolo fosse o meno conveniente applicando la formula:

Guadagno = Salario – (Affitto + Vitto).

E poi un po' di distanza col capo non poteva che portare giovamento; intendiamoci la convivenza andava benissimo però credo che il detto che l'ospite sia come il pesce che dopo tre giorni puzza abbia valenza internazionale.
Sembra incredibile ma nella valle di Målselv è difficile trovare appartamenti vuoti. Provammo prima con il genero del mio capo che aveva una casa nel centro di Rund Haug che in dicembre sarebbe stata trasformata in uno studio medico nel quale si sarebbe installata la moglie.

L'appartamento era un po' squallido, senza mobili, reti dei letti abbandonate un po' dappertutto. Mi ci sarei anche trasferito, il problema era che qualcun altro lo aveva già occupato. Sulle reti c'erano sacchi a pelo e sul tavolo i resti dell'ultimo pranzo. Allora il genero del mio capo mi informò che prima di partire per le vacanza i ragazzi del piano di sotto avevano chiesto di poter occupare anche quell'appartamento. Gli avevano promesso che gli avrebbero inviato una lettera che però il genero non ricevette. Morale: non se ne fece nulla. Sulla strada del ritorno il genero, un manager con i capelli pettinati all'indietro e la puzzetta sotto il naso ripeteva: “Every day there's a new surprise!”

Va beh! Allora il mio capo contattò suo figlio il quale è direttore di un centro di accoglienza per ragazzi disadattati che mi propose di usare una delle case del centro ma dovevo sbaraccare in caso di nuovi arrivi. Accettai.

La casa è più che decorosa. Interamente costruita in legno e immersa nel verde, luminosissima, conta di una sala – cucina, un salotto con televisione, due bagni e quattro camere da letto singole.
L'unica pecca è fuori dalla zona wireless e quindi non posso connettermi ad internet.

L'arredamento è moderno e di stile nordico, aprite un catalogo Ikea e capirete.

Sarebbe da attaccarci un migliaio di palloncini, come nel film “Up” della Pixar e trasportarla a Verona per utilizzarla come foresteria per i volontari dell'associazione. Sono sicuro che nessun volontario oserebbe fare un'osservazione del tipo, è piccola, è scomoda, non c'è privacy.

4 luglio 2010

Selvicultura in Pillole IV

I concetti che vi ho illustrato non sono teorici bensì terribilmente pratici.
I piani di assestamento esistono. A Verona possono essere consultati presso la sede dei Servizi Forestali.

Basta andare lì e chiedere il piano di assestamento di un comune (di montagna, chiaro). Ve lo consegnano e vi si apre un mondo. Se andate in trentino questi tomi sono rilegati in pelle e custoditi in una stanza considerata sacra da tutti gli addetti ai lavori.

Li consultano le guardie forestali, gli addetti alla martellata (cioè chi sceglie le piante da abbattere) Il numero di metri cubi di legname che si possono prelevare da una particella non possono superare quelli prescritti nel piano.

Ci sono due numeri interessanti quando si parla di prelievo di legna. Faccio un esempio reale con i dati della mia tesi di laurea.
All'interno della comunità montana Agordina in provincia di Belluno (i cui boschi coprono una superficie di 40.000 ettari) si abbattono circa 8000 metri cubi di legname all'anno!
8000 metri cubi! Cioè se il legname venisse accumulato in un posto solo, la catasta avrebbe le dimensioni di un palazzo di 400 metri quadrati di superficie e di 20 metri d'altezza. C'è da gridare allo scandalo! Deforestazione selvaggia! Ambientalisti a raccolta!
Invece respiriamo tranquilli, andiamo a vedere il piano di assestamento e scopriamo che la provvigione di quell'area ossia il quantitativo di legno in piedi (alberi vivi) è pari a 400.000 metri cubi. Ossia ogni anno si taglia solo il 2% della provvigione.
Però qualcuno osserverà che il 2% quest'anno il 2% l'anno prossimo alla fine non resta niente.

Stolti e tardi di cuore, come diceva il migliore selvicultore della storia, non vi ho forse detto che il bosco cresce?

Ogni hanno nell'agordino si stima che i boschi crescano di 66000 metri cubi.
Facciamo un bilancio. Il bosco cresce di 66000 metri cubi all'anno e ne portiamo a casa 8000.
Il bosco nonostante il nostro prelievo cresce quindi di 58000 metri cubi (1,45 mc /ha).
Ossia in questo caso non solo non ci mangiamo il capitale ma nemmeno sfruttiamo tutto l'interesse.
Capite adesso, alla luce di queste considerazioni, l'importanza del piano di assestamento, di anteporre la razionalità gestionale all'istinto? Capite che chi lavora il bosco non è un criminale? Che le segherie non sono lager? Vi rendete conto che si può usare il legno senza compromettere un ecosistema?
Quando ho avuto in gestione il parco di Verona che, come ho detto, contiene anche un piccolo bosco, la prima cosa che ho fatto è stata proprio quella di disporre di un piano assestamento. Ci sono voluti un paio d'anni per trovare i fondi però ce l'ho fatta.
Vi dico solo che la proprietaria del parco, una nota imprenditrice veneta ex consigliera del WWF che compare spesso in TV a sferzare gli italiani pigri a suo avviso e fannulloni, lo ha definito in una sua recente comunicazione scritta: “Una ricerca che non serve a nessuno”.

Selvicultura in pillole III


Come si interviene in un dinamismo boschivo senza comprometterlo? Semplicemente seguendolo nelle sue varie fasi che sono in sintesi: spessina (fase di rinnovazione densa), giovane fustaia e fustaia matura.


In fase di spessina si può intervenire con un decespugliatore forestale riducendo il numero dei soggetti e concedendo ai superstiti un giusto spazio vitale.


Quando il bosco compie 30 anni si può procedere ad un primo diradamento. Ossia si va tagliare gli alberi malati, con difetti morfologici (tipo ferite, doppie punte ecc.) quelli che ancora sono troppo vicini. Con gli alberi abbattuti (che sono giovani) si può produrre legna da ardere o carta o cippato.

Quando il bosco compie 60 anni è tempo di un ulteriore diradamento mirato a scegliere i soggetti migliori ed eliminare tutto il resto.

Allo spegnimento delle 90 candeline si può procedere al taglio di sementazione. Sostanzialmente si tagliano gli alberi maturi, quelli da cui otterremo legname da opera e si lasciano solo pochi soggetti ad ettaro, (tra i migliori) che avranno funzione di produrre semi e far ripartire il ciclo.

Il fatto che ci siano pochi alberi comporta che la superficie benefici di più luce favorendo la nascita dei giovani alberi. In questa maniera non abbiamo sconvolto il dinamismo e allo stesso tempo possiamo disporre del legno.

Ai più attenti sorgerà un'osservazione. Se io, diranno, ho trentanni e compro un bosco in fase di spessina potrò compiere lo sfollo subito, il primo diradamento quando compirò 60 anni, il secondo quando avrò 90 anni e porto a casa il legno maturo alla veneranda età di 120 anni, se ci arrivo. Come campo?

Ottima domanda.

Dicevo prima che il nostro intervento deve essere razionale nel tempo (ed abbiamo visto come si fa) e nello spazio. Vediamo come si diventa razionali nello spazio.

Una proprietà forestale, specie qui in Norvegia conta di una vastissima superficie, centinaia e centinaia di ettari (1 ettaro = 10.000 mq).

Immaginate, per farla semplice, che questa proprietà abbia la forma di un grande rettangolo. Abbiamo detto che il bosco matura in 90 anni. Bene. Dividiamo la proprietà (tecnicamente si chiama compresa) in novanta particelle di ugual superficie (chiamiamole particella A,B,C).

Immaginiamo che nessuno abbia toccato il bosco prima di noi e che tutti gli alberi abbiano 90 anni, ossia siano maturi.

Che faccio? Quest'anno vado nella particella A e faccio il taglio di sementazione. Quella parte di bosco avrà quindi 0 anni.

L'anno dopo vado nella particella B e pratico il taglio di sementazione. La particella A avrà 1 anno e la B 0 anni. Così di seguito.

Quando A compirà 5 anni eseguo lo sfollo, l'anno dopo lo faccio in B e l'anno dopo ancora in C.

Quando A avrà 30 anni comincerò con il diradamento e via di seguito.

In pratica con questo sistema di particelle ogni anno avrò del bosco maturo con il cui legno posso
sostentarmi e allo stesso tempo praticherò i diradamenti sulle particelle più giovani. Non lavoro tutto il bosco nello stesso tempo bensì particella per particella che avranno conseguentemente età diverse.
In Norvegia queste fasi si notano con molta facilità. Ci sono pezzetti di bosco spelacchiati, altri più fitti, altri più radi.
Spero di non essere stato troppo tedioso. Chi mi ha insegnato queste cose lo era...
Quello che mi premeva farvi sapere è il fatto che esista un pensiero che regola il prelievo del legno di un bosco anzi è proprio una vera e propria disciplina, si chiama assestamento forestale.

Selvicultura in pillole II


Abbiamo detto che il bosco non ha bisogno dell'uomo però l'uomo ha bisogno del bosco perché è una risorsa naturale. Produce un'infinità di beni. Distinguiamo i prodotti:


· Legno
· Frutti (castagne, pinoli, mirtilli, funghi)
· Piante medicinali
· Resina ed estratti (es: olio di pino, sughero ecc.)
· Selvaggina


E le esternalità ossia tutti quei benefici che ci dà il bosco che però non hanno un valore di mercato e per valutarle bisogna ricorrere all'estimo. Sono tante, quelle che mi ricordo sono:


· Funzione idrogeologica (previene frane e valanghe)
· Funzione depurativa (riduce l'inquinamento di aria, acqua e rumori)
· Funzione paesaggistica
· Funzione ricreativa
· Funzione culturale / religiosa (alcuni boschi sono aree sacre per gli indigeni)
· Serbatoio genetico e di biodiversità

Qualcuno potrebbe obiettare che si potrebbe fare a meno del legno e ricorrere ad altri materiali da costruzione ed energetici. Il legno invece è un ottimo materiale, con le nuove tecnologie si può fare qualsiasi cosa. Ed è un materiale la cui lavorazione produce meno impatti sia dal punto di vista energetico sia riguardo alla produzione di rifiuti (E' completamente riciclabile). E spesso lo si può lavorare a filiera corta.

Il bosco è una risorsa naturale rinnovabile ovvero continua a produrre i suoi benefici anche dopo il nostro prelievo a patto che esso sia razionale nel tempo e nello spazio. Cioè? Semplicemente utilizzare la risorsa senza comprometterne il dinamismo naturale con il quale il bosco riesce a perpetuarsi.


L'esempio del dinamismo che vi ho fatto nel precedente post è elementare, serve solo per capire il concetto. La realtà è sempre particolare e più complessa.

Però conoscendo il dinamismo anche per sommi capi notiamo subito una cosa. Nel bosco non è necessario seminare, irrigare, concimare o intervenire con fitofarmaci. Per due ragioni. Il bosco non ne ha bisogno e sarebbe economicamente proibitivo. Come si può intervenire quindi?

C'è solo un modo. Aiutare la natura a fare selezione. Favorendo gli alberi che piacciono a noi, quelli con i quali si potranno realizzare buone tavole per la carpenteria ed eliminando gli altri.


Come?


Tagliando. O lo facciamo noi o lo fa Dio che come sappiamo è un ottimo selvicultore.


Motosega quindi, senza storie.

Selvicultura in pillole I


Facciamo finta che l'uomo con le sue avide zampacce non esista. Facciamo uno sforzo di immaginazione e visualizziamo un ampia superficie sulla quale sono piovuti migliaia di semi di alberi di pino silvestre e betulla. E' una tipica situazione norvegese. Che cosa succede?


Nei primi anni assisteremo alla germinazione dei semi e la superficie si riempirebbe di rinnovazione, ossia giovani alberi di altezza inferiore al mezzo metro, il fusto elastico e sottile.


La densità degli alberi è altissima, attraversare a piedi quella superficie sarebbe piuttosto impegnativo. Con passare delle stagioni noteremo la scomparsa di tutti quegli alberi i cui semi sono germinati in posti sfigati; troppo aridi, troppo umidi, interessati da violente slavine ecc.


Successivamente si instaura una lotta senza quartiere fra gli alberi per raggiungere la luce. Chi cresce più in fretta e raggiunge il piano dominante riesce a svilupparsi e ad esprimere tutto il suo potenziale biologico, gli altri soggetti, quelli più bassi relegati al piano dominato con il passare degli anni muoiono.


E' una situazione comune anche in Italia. Fatevi un giro in montagna, entrate in un bosco e confrontate il numero di piante adulte con il numero di piante giovani. La differenza è notevole.


Apprezzerete anche il fatto che la distanza fra due piante adulte è maggiore rispetto alla distanza di due piante giovani. Perché? Perché l'albero adulto ha bisogno di uno spazio vitale più ampio e se lo crea ombreggiando i suoi vicini e conducendoli a morte.


Dopo circa un centinaio di anni il nostro bosco sarà composto di alberi adulti ovvero maturi. Si tratta degli alberi più forti cioé quelli dotati di un buon patrimonio genetico, cresciuti in un'area favorevole e che hanno avuto culo. Sono i vecchi e saggi alberi ai quali si chiede consiglio distesi alla loro ombra, gli stessi che pero' hanno sterminato fratelli e cugini. Sono loro che si impollinano vicendevolmente e disseminano la nuova generazione.


Dopo si fanno vecchi e deboli.


Non muoiono nel sonno né tanto meno soffrono di infarti o ictus, semplicemente nella loro debolezza non riescono a contrastare gli attacchi di funghi ed insetti i quali se ne cibano e li portano a morte. Un albero morto schianta ovvero cade a causa di vento, neve o pioggia e libera il suo spazio vitale per la nuova generazione e via così per secoli fino a quando non succede qualcosa di catastrofico tipo un eruzione vulcanica, un grande incendio, un cambiamento climatico, un alluvione ecc.


Questa che vi ho descritto è in sintesi la premessa per i discorsi che verranno. Si evince che



  • Il bosco non ha bisogno dell'intervento dell'uomo.
  • Il bosco segue un ciclo vitale dinamico nel tempo.
  • La maggioranza del popolamento di un bosco muore prima di raggiungere lo stadio maturo.

Killer di alberi


Sulla coscienza ne ho più di un migliaio, di alberi intendo, quasi tutti di piccole o medie dimensioni.

Li ho abbattuti.


Esistono persone e non sono poche che davvero non approvano il mio operato. Non qui in Norvegia, chiaro, qui chiunque, anche chi si occupa d'altro, sa cosa avviene in un bosco.


In Italia ho avuto invece più problemi paradossalmente con chi sosteneva interesse e conoscenze di temi ambientali. Mi occupavo del mantenimento del verde di due parchi urbani. Uno, molto bello, include anche un bosco che per anni è stato lasciato a se stesso a deperire.
Quando riferivo di aver compiuto uno sfollo (ossia una riduzione del sottobosco), o un diradamento selettivo (taglio di piante, malate, morte, o pericolosamente instabili) nella migliore delle ipotesi mi veniva risposto: “Sì, ma non esagerare, mi raccomando”, altre volte erano alzate di spalle come se si trattasse di un viziaccio che proprio non volevo levarmi, altre volte andava anche peggio.

Un pomeriggio per esempio stavo lavorando in un'area particolarmente impenetrabile, vicino ad un muro di cinta. Gli alberi stavano crescendo così vicini al muro da minacciarne con le radici e i tronchi la stabilità. Bisognava aprire un corridoio di due metri. Un lavoraccio tra edere, rovi, ramaglia e alberi storti. Era un lavoraccio perché a nessuno era mai venuto in mento di farlo prima quando la situazione era più gestibile.

Ad un tratto mi si avvicinò un vecchietto apparentemente gioviale, uno di quelli che portano a spasso il cane. “Ah, ma qui si taglia”. Disse. “Perspicace” Pensai.
“Si taglia, direi, selvaggiamente”. E poi mi fece una conferenza sulla sua vita specificandomi il suo inossidabile impegno ambientale e la sua vigilanza per parchi e giardini. Per prevenire un attacco d'ansia dovetti fermarlo.
“Vada, vada con il cagnolino che deve fare i suoi bisogni”.
Quella volta, perché sono gentile, mi limitai a mandare a cagare il cane.


Ma mi accadde anche di peggio.

Fra le varie realtà che usufruiscono di quel parco c'è anche una piccola scuola elementare.
Apro una parentesi. Come sapete i bambini della mia generazione (quelli degli anni '80) erano un po' diversi nel comportamento dagli attuali e anche i sistemi con i quali gli adulti trattano i bambini hanno subito sostanziali modifiche nel tempo. Per esempio noi non avevamo nessun problema a rompere le palle a coetanei o a bambini più piccoli ma con i grandi e per grandi si poteva trattare di differenze di solo quattro o cinque anni c'era un grande rispetto. Perché? Perché il grande, se dubitava una mancanza di rispetto, non si sarebbe fatto problemi a darti uno spintone e un paio di cazzotti. Se poi riferivi il fatto alla mamma lei non faceva una piega. Ben ti sta così impari.

Le cose andavano così. E si imparava in fretta.


Ora non più. Ora con i bambini bisogna parlare e confrontarsi da pari (e portarli conseguentemente dallo psicologo).
Più di una volta nel parco (con la mia mentalità anni '80) mi sono trovato in questa situazione. Partivo dal magazzino con il trattore e gli attrezzi e lungo la strada mi si parava innanzi uno di questi bambini. Si piazzava proprio al centro della strada e apriva le le braccia. Dovevo schiacciare il freno. Rendetevi conto, schiacciare il freno, bloccare la macchina. Negli anni '80 l'unica ragione ammissibile ad un tale affronto era un'emergenza. “Presto, vieni, Tizio non respira più”.

No, il pargolo perfettamente a suo agio, sorridente e sicuro di sé ti chiedeva: “Che cosa fai?” Negli anni ottanta l'adulto ti avrebbe guardato brutto e nella migliore delle ipotesi ti avrebbe risposto: “Sono fatti tuoi?”, ma proprio solo quelli in odore di santità. Penso, se scendo e gli do quello che merita dopo c'è il penale, se mi limito a mandarlo a cagare me la devo vedere con la mamma una di quelle donne danarose e disagiate che vivono in una realtà parallela e si sfogano litigando con prossimo.

Dunque dovevo capitolare.

“Vado a lavorare”.

“Vai a distruggere gli alberi”

“Vado a sistemare il bosco”

“Perché vai a distruggere tutti gli alberi?”

“Un giorno te lo spiegheranno i maestri ma non vado a distruggere gli alberi”. Però non credo che i maestri l'abbiano ancora fatto in maniera esauriente, altrimenti non si spiegherebbero queste prese di posizione.


Per quanto riguarda i bambini sospetto che nonostante tutta la bambagia nella quale vivono non saranno esentati dalla selezione naturale che avverrà solo un po' più avanti nel tempo quando avranno barba e peli e dovranno vedersela con tutti gli stranieri scaltri cresciuti in situazioni più stoiche, che li raderanno al suolo sia a livello umano che professionale.


Ciò che mi interessa è invece far chiarezza sul bosco, il taglio degli alberi e la questione ambientale perché quando hanno inventato la parola disinformazione era appunto per descrivere l'attuale situazione al rispetto. Deforestazione, taglio degli alberi, uso del legno, sono tutti termini per la maggioranza delle persone hanno pressoché lo stesso significato.


Luis Sepulveda scriveva in un suo racconto un elenco di cose che lo rattristano. Fra di esse compare anche il rumore della motosega.


Dedicherò qualche post sull'argomento. Cerchiamo di far un po' di luce.

2 luglio 2010

A te piaceva Ingrid III

Verso fine agosto venne da me perché nella mia cantina c'erano delle cose che voleva mettere in valigia. Partiva per l'Australia.

Mentre lei trafficava in the basement io mi tormentavo in camera camminando avanti e indietro.

Sapevo che non l'avrei più rivista. Quando la sentii uscire, preso dall'ansia, afferrai la macchinetta usa e getta di cartone. Mi precipitai fuori e le chiesi il permesso di scattarle una foto.


Lei mi guardò meravigliata come se le avessi chiesto di tirarmi su la zip dei pantaloni però acconsentì. Suo fratello, alla finestra, stava assistendo alla scena e rideva.

Vorrei proprio mostrarvi quella foto, ragazzi. Negli anni a seguire mi capitò spesso fra le mani.

Lei a figura intera, espressione sorridente, senz'altro pensava “Ma ne hai altre?” indossa un paio di ciabatte di plastica nere, il pantalone di una vecchia tuta sportiva, una canottiera colorata. A lato due sacchetti di plastica del supermercato pieni.

Ecco come ho immortalato il mio fiore norvegese.

Il Dario trentenne sfotte spesso quello ventiduenne. Gli dice: “Se non puoi scopartela, falle almeno la foto, eh!”

Da allora non l'ho più rivista né ho cercato di mettermi in contatto con lei.

Dopo otto anni sono di nuovo in Norvegia. Adesso lavoro nei boschi vicino a casa sua, dove probabilmente da bambina lei andava a raccogliere i mirtilli o a giocare.

Una sera il mio capo mi dice, a te piaceva Ingrid. E io rispondo, mi ricordo, mi ricordo bene di lei. E non dico altro. E lui mi racconta cosa ne è stato di Ingrid.

Si è laureata in Australia, poi è tornata in Norvegia, ha avuto un ragazzo per alcuni anni però non ha funzionato così è tornata a Melbourne per fare anche un Master.

Ora è lì. Un posto più lontano di Melbourne credo sia la luna.

Se scrivo il suo nome su facebook appare una sua foto. Anche questa in bianco nero. Lei di spalle, schiena nuda, ha una tavola da surf sottobraccio. In testa un berretto viola, unica nota di colore nella foto.

Facebook mi fa presente che Ingrid non condivide tutte le sue informazioni personali con tutti, che scoperta! Se voglio posso chiederle l'amicizia o mandarle un messaggio.

Non farò niente di tutto questo. Mi limiterò a fare un bel lavoro al suo bosco.

Quando tornerà fra qualche mese o fra qualche anno sarà il mio lavoro ad aspettarla. Un bosco perfettamente diradato, pini che crescono dritti, incremento legnoso massimo, pochi cespugli così si può passeggiare all'interno per raccogliere i mirtilli. Io sarò il mio lavoro.

E se guardando il suo bel bosco curato con amore e con perseveranza cercherà l'uomo allora proverà amarezza perché, Ingrid, tu mi cercherai ma io non sarò più.

1 luglio 2010

A te piaceva Ingrid II

Se Ingrid aveva viaggiato? Certo, era andata a visitare sua zia negli Stati Uniti, era stata in Francia, in Spagna, in Inghilterra. E sai cosa? Anche in Italia. Aveva visitato Roma, Firenze, Venezia e Verona per via di Gardaland. Ossia era stata nella mia città. Verona non l'aveva colpita granché perché non ne ricordava i particolari.

Eh sì, piccola città di provincia tana di bigotti e ignoranti! E' la mia città per bacco! E non ti colpisce?

Raccontava il tutto in un inglese meraviglioso, decisamente meglio del mio, maccheronico e con abbondante grana padano.

Fra qualche settimana sarebbe andata a Londra a fare un po' di shopping.
Shopping a Londra? Ossia prendere un areo per andarsi a comprare dei vestiti? Pensavo lo facessero solo le star di Hollywood. Andiamo avanti, e gli studi?
Certo gli studi. In settembre sarebbe partita per L'Australia, Melbourne, per laurearsi in tecniche della multimedia. Il suo programma risultava cento volte più prestigioso rispetto alle mie modeste intenzioni alla facoltà patavina. All'epoca mi sarei cagato sotto al pensiero di andare a studiare in un altro stato. Vivevo abbastanza umiliazioni in nella mia lingua immaginati in inglese.

Rimasi a bocca aperta.

In questo piccolo paesino sperduto sopra il circolo polare mi ritrovavo in compagnia di una ragazza bella, intraprendente, ricca e matura. Cosa potevo raccontarle? Niente e lei mi tolse d'impaccio perché non mi fece nessuna domanda.
Dopo aver scritto a casa che tutto andava alla grande mesto mesto pensavo: e io cosa sono? Uno sputacchio di mediocrità made in Italy. Non avevo nemmeno scritto io all'amica norvegese di mia madre per mettermi d'accordo sui dettagli di questa esperienza. Un bimbo, praticamente.

Qualche giorno dopo il padre di Ingrid, il mio vicino di casa, mi propose di salire in macchina con lei che andavano al negozio di alimentari così avrei capito dov'era.
Guidava lei. Ossia tutto questo che vi ho scritto più il fatto che guidava lei. Il mio atteggiamento era leggermente umile. Caricai le borse della spesa in bagagliaio e nella strada del ritorno dissi:
“Senti Ingrid, ogni tanto potremo farci qualche altro giro insieme così mi fai conoscere i dintorni”. Era una proposta gentile, senza allusioni (e come potevo farne?). La risposta fu:
“Perché non ci vai con mio padre? Lui sa un sacco di cose”.

Si certo, poteva anche andarmi peggio, penserete voi. Poteva darmi uno schiaffo e obbligarmi a scendere in mezzo al niente magari dandomi dello stronzo. Però anche così, credetemi, brucia.
Nei successivi tre mesi ci scambiammo credo cinquanta parole incluse congiunzioni e avverbi.
Per inciso, non era incazzata con me. Con senno di poi l'atteggiamento era dovuto alla normale cultura nordica e al disinteresse per me.

A me invece piaceva. La sorella soffriva di un disturbo psicologico che le impediva di avere relazioni con gli altri e quindi era perdonata.
Insomma, per quello che ne sapevo Ingrid era l'unica ragazza in un raggio di decine di chilometri quadrati. Quando andavo a far visita ai vicini per mandare le mie mail, Ingrid non interrompeva le sue faccende per offrirmi che so un te, un caffé o chiedermi: “How was your week?” Io la salutavo con un cenno e un sorriso.

A casa trovai una cornice con una foto sua in bianco e nero che la ritraeva sorridente. Misi la foto sul comodino. Poi un giorno feci una foto della foto con una macchinetta usa e getta. Le fotocamere digitali agli inizi del decennio erano pressapoco come i cellulari degli anni '80. Nel 2000 negli Stati Uniti mi era capitato di usarne una. Bisognava inserire un floppy disk. Dopo tre foto il floppy andava sostituito perché era pieno. Immaginate un po'.

La foto della foto di lei. Riuscite ad immaginate un momento più basso della vita di un uomo?

Ebbene ci fu. (Continua)