Se Ingrid aveva viaggiato? Certo, era andata a visitare sua zia negli Stati Uniti, era stata in Francia, in Spagna, in Inghilterra. E sai cosa? Anche in Italia. Aveva visitato Roma, Firenze, Venezia e Verona per via di Gardaland. Ossia era stata nella mia città. Verona non l'aveva colpita granché perché non ne ricordava i particolari.
Eh sì, piccola città di provincia tana di bigotti e ignoranti! E' la mia città per bacco! E non ti colpisce?
Raccontava il tutto in un inglese meraviglioso, decisamente meglio del mio, maccheronico e con abbondante grana padano.
Fra qualche settimana sarebbe andata a Londra a fare un po' di shopping.
Shopping a Londra? Ossia prendere un areo per andarsi a comprare dei vestiti? Pensavo lo facessero solo le star di Hollywood. Andiamo avanti, e gli studi?
Certo gli studi. In settembre sarebbe partita per L'Australia, Melbourne, per laurearsi in tecniche della multimedia. Il suo programma risultava cento volte più prestigioso rispetto alle mie modeste intenzioni alla facoltà patavina. All'epoca mi sarei cagato sotto al pensiero di andare a studiare in un altro stato. Vivevo abbastanza umiliazioni in nella mia lingua immaginati in inglese.
Rimasi a bocca aperta.
In questo piccolo paesino sperduto sopra il circolo polare mi ritrovavo in compagnia di una ragazza bella, intraprendente, ricca e matura. Cosa potevo raccontarle? Niente e lei mi tolse d'impaccio perché non mi fece nessuna domanda.
Dopo aver scritto a casa che tutto andava alla grande mesto mesto pensavo: e io cosa sono? Uno sputacchio di mediocrità made in Italy. Non avevo nemmeno scritto io all'amica norvegese di mia madre per mettermi d'accordo sui dettagli di questa esperienza. Un bimbo, praticamente.
Qualche giorno dopo il padre di Ingrid, il mio vicino di casa, mi propose di salire in macchina con lei che andavano al negozio di alimentari così avrei capito dov'era.
Guidava lei. Ossia tutto questo che vi ho scritto più il fatto che guidava lei. Il mio atteggiamento era leggermente umile. Caricai le borse della spesa in bagagliaio e nella strada del ritorno dissi:
“Senti Ingrid, ogni tanto potremo farci qualche altro giro insieme così mi fai conoscere i dintorni”. Era una proposta gentile, senza allusioni (e come potevo farne?). La risposta fu:
“Perché non ci vai con mio padre? Lui sa un sacco di cose”.
Si certo, poteva anche andarmi peggio, penserete voi. Poteva darmi uno schiaffo e obbligarmi a scendere in mezzo al niente magari dandomi dello stronzo. Però anche così, credetemi, brucia.
Nei successivi tre mesi ci scambiammo credo cinquanta parole incluse congiunzioni e avverbi.
Per inciso, non era incazzata con me. Con senno di poi l'atteggiamento era dovuto alla normale cultura nordica e al disinteresse per me.
A me invece piaceva. La sorella soffriva di un disturbo psicologico che le impediva di avere relazioni con gli altri e quindi era perdonata.
Insomma, per quello che ne sapevo Ingrid era l'unica ragazza in un raggio di decine di chilometri quadrati. Quando andavo a far visita ai vicini per mandare le mie mail, Ingrid non interrompeva le sue faccende per offrirmi che so un te, un caffé o chiedermi: “How was your week?” Io la salutavo con un cenno e un sorriso.
A casa trovai una cornice con una foto sua in bianco e nero che la ritraeva sorridente. Misi la foto sul comodino. Poi un giorno feci una foto della foto con una macchinetta usa e getta. Le fotocamere digitali agli inizi del decennio erano pressapoco come i cellulari degli anni '80. Nel 2000 negli Stati Uniti mi era capitato di usarne una. Bisognava inserire un floppy disk. Dopo tre foto il floppy andava sostituito perché era pieno. Immaginate un po'.
La foto della foto di lei. Riuscite ad immaginate un momento più basso della vita di un uomo?
Ebbene ci fu. (Continua)
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