13 luglio 2010

Skål

Venerdì 9 luglio sono stato invitato alla festa di compleanno del mio capo Marcus.

La location era un ex caserma diventata poi set cinematografico per produzioni norvegesi e anche luogo per feste e cerimonie. Il salone era costruito con quell'architettura che armonizza gli spazi disponendo sapientemente il legno su pareti e soffitto bianchi creando quel genere di atmosfera da azienda giovane e dinamica che viene ritratta nei dépliant.

L'evento ebbe inizio alle 18.30 con l'aperitivo e la cena.

Le tavolate erano disposte a rastrello. Il posto d'onore spettava a Marcus e alla sua sposa. Ogni invitato aveva il suo il suo segnaposto a forma di cuore con il nome scritto a penna. Le tavolate erano ordinate secondo l'età degli invitati e si rispettava l'alternanza uomo – donna.
Prima di sederci consumammo un aperitivo in piedi che consisteva in un bicchiere (o più) di vino bianco spagnolo. L'atmosfera era formale. La maggioranza degli invitati erano parenti di Marcus e della moglie più qualche amico.


Io ero l'elemento esotico che non c'entrava niente ma stranamente non mi sentivo molto a disagio.


Passeggiavo sciolto per il salone, intercettando i pochi che conoscevo, scambiando con loro qualche parola. Nei tempi morti mi avvicinavo alle locandine dei film prodotti leggendo con interesse nomi di attori a me sconosciuti. Poi sorseggiavo il vino, guardavo il paesaggio e ciò che accadeva attorno a me. Indossavo una camicia a quadrettini azzurri, un paio di pantaloni verde scuro, scarponcini di cuoio lucido. Diversamente dagli altri non portavo né giacca né cravatta ma sapevo che dopo qualche bicchiere gli ospiti si sarebbero sbottonati.


E non mi sono sbagliato.

I ragazzi indossavano un completo giacca pantaloni nero con camicia bianca. L'abito vestiva bene come può vestire un lenzuolo. La giacca pendeva rivelando ampi spazi vuoti sui fianchi, i colli delle camicie erano troppo larghi, però i ragazzi non si sentivano a disagio anzi, così abbigliati giocavano a calcio nel parcheggio.


La moglie di Marcus, la first lady, indossava un abito che assomigliava ad una lunga blusa che lasciava scoperte gambe e cosce fino più o meno alle natiche. Quando la vidi in casa prima di partire distolsi lo sguardo timoroso di averla sorpresa senza gonna. Invece no, l'abito era proprio così e la rendeva sexy come può esserlo una signora di sessantacinque anni in minigonna.

Anche una ragazzina di circa tredici anni aveva un vestito sullo stesso stile e in quel caso sì sembrava che la fanciulla si fosse abbigliata solo con una maglietta. Passò la maggioranza del tempo ad accomodarselo.

Io ero seduto con la gioventù. Davanti a me due ragazze, una vichinga giunonica dalla pelle candida con una profonda scollatura che la obbligava periodicamente a darsi occhiate per verificare se tutto era a posto e una biondona da fischio con labbra rosso fuoco. Pensai, toh, miss Norvegia.

In mezzo alle ragazze sedevano i rispettivi fratelli. Quello di Miss Norvegia aveva una faccia con guance piene, capelli corti a spazzola e la camicia che gli tirava sui bottoni. Quello della valchiria era un adolescente biondo, sognatore e romantico che non disse praticamente niente per tutta la serata.

Conversammo naturalmente. Non mi fecero il terzo grado e nemmeno quel genere di domande di costume del tipo: “C'è ancora la Mafia?”, “E' vero che i ragazzi italiani pensano solo a scopare?”, “Mangiate spaghetti anche a colazione?” Niente di tutto questo: i norvegesi o sono discreti o non sono curiosi.


La vichinga mi disse che aveva fatto qualche viaggio in Italia, il paese le piaceva, le piaceva il gelato e la pizza. A Napoli però era stata derubata.
Il ladro semplicemente ha accostato la moto vicino alla macchina nella quale viaggiavano che era ferma in coda. Dopo ha aperto la portiera ricevendo i saluti del fratello della vichinga, si è impossessato della borsa appoggiata sul sedile ed è scappato.
La cosa buffa era la denuncia a gesti ai carabinieri napoletani che non parlavano inglese. A parte questo, come ho detto, l'Italia le piaceva.

Miss Norvegia invece non parlava molto. Notai qualche rotolino di ciccia tipico di chi non ha pratica di jogging attività qui necessaria per mantenersi belle vista l'alimentazione calorica.

La cena consisteva in un antipasto di salmone e caviale, uno stufato di renna con riso come piatto forte e dessert di gelato con sciroppo di cioccolato. Più tardi uno degli invitati mi spiegò che ai norvegesi non interessa molto il cibo raffinato bensì la compagnia. Quel menù, mi diceva, era tutto sommato un piatto povero.


I camerieri giravano per i tavoli con bottiglie di un rosso spagnolo che faceva tredici gradi riempiendo tutti i bicchieri vuoti. Quella sera ebbero un gran daffare. (continua...)

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